Accesso utente

Nuovi utenti

  • Tata Zia
  • manuela76
  • liliana
  • guarda donatella
  • Vittoria

Twitter

Seguiteci anche su Twitter!

Paper Blog

Wikio

Wikio - Top dei blog - Letteratura

Banner

 

 

Home | Slightly Dangerous - Capitolo 5

Rispondi al commento

Slightly Dangerous - Capitolo 5

                               SLIGHTLY DANGEROUS

Tutti i soggetti descritti nelle storia sono maggiorenni e comunque fittizi. I personaggi e le situazioni presenti nella fanfiction si ispirano a quelli creati da Mary Balogh, che detiene tutti i diritti sull'opera;  questa storia è stata scritta senza alcun fine di lucro e nel rispetto dei rispettivi proprietari e copyright.  

Potete leggere il prologo qui:
PROLOGO

Qui il primo capitolo:
CAPITOLO 1

Qui  il secondo capitolo:
CAPITOLO 2

Qui il terzo:
CAPITOLO 3

Qui il quarto: 
CAPITOLO 4
                                                              
                                                          5



 

─ … d’altronde cosa aspettarsi da un uomo che sembra aver inghiottito una scopa intera?
─ Come prego, signora Derrick? Potreste cortesemente ripetere, temo di non aver compreso appieno la vostra frase.
La signora Derrick, sorrise sospirando ─ Ah, debbo proprio avervi annoiata con le mie chiacchiere! Me ne scuso, so che dovrei parlare molto meno, ma la vostra compagnia è talmente piacevole che mi sono lasciata andare.
Elizabeth sorrise di rimando e si riscosse dal torpore che l’aveva assalita dopo il primo quarto d’ora con Christine Derrick. Non che la donna fosse una conversatrice noiosa, al contrario, era molto vivace e dotata di spirito, ma lei era talmente oppressa da quella situazione che si era immersa nei propri cupi pensieri fingendo di prestare attenzione alla sua interlocutrice. Solo l’arrivo di Wulfric Bedwin nella sala da musica, dove gli ospiti si erano riuniti in quel tardo pomeriggio, e il conseguente commento acido di Christine l’avevano riportata al presente.
Eccolo lì, la causa di tutti i suoi guai, splendido e impettito come sempre, pareva un sovrano in mezzo ai sudditi, tanto ciascuno si affannava a compiacerlo. Lady Renable, la padrona di casa, sembrava illuminata dalla Grazia Divina ogni volta che lui le rivolgeva la parola e forse era davvero così: la voce che il duca di Bewcastle sarebbe giunto come ospite a Schofield Park aveva  guadagnato alla baronessa l’imperitura invidia di tutto il vicinato e l’imperitura gloria di un successo mai raggiunto da alcuno nella regione. Ora anche i villici potevano vantarsi di aver ricevuto la visita di una tale personalità, la cui importanza sarebbe stata soprassata solo se re Giorgio o il principe di Galles si fossero degnati di apparire in quel remoto angolo del Gloucestershire. Ma poiché il primo era interdetto a causa della sua follia, e il secondo era ben poco amato, la presenza di Bewcastle avrebbe fornito materiale per i racconti di almeno tre generazioni.
Schofield Park era una bella residenza di campagna con giardini notevoli e addirittura un grande labirinto, che Elizabeth aveva cercato di provare per tutta la settimana senza riuscirvi, per un motivo o per l’altro. Reggere la parte della cugina povera le pesava, non era nata attrice lei. D’altronde non aveva avuto scelta, una carrozza del duca con una cameriera era passata a prenderla  col suo bagaglio, l’aveva caricata e condotta in quel luogo sperduto con le precise istruzioni, vergate dalla mano stessa di Sua Grazia, di presentarsi come una sua lontanissima cugina che l’avrebbe accompagnato nel suo soggiorno di due settimane dai baroni Renable. Per un attimo il cuore di Elizabeth si era riempito di speranza come un pozzo di acqua: finalmente Wulfric si era convinto a considerarla come una donna, nonostante le sue parole sprezzanti durante il loro ultimo incontro, ed avrebbe fatto di lei la sua amante. Per quale altro motivo altrimenti l’avrebbe invitata a casa di aristocratici e introdotta in quel modo?
Il pozzo si era prosciugato nel giro di ventiquattrore. Il duca aveva evitato ogni occasione non soltanto di restare solo con lei, ma anche di parlarle, se si escludevano i saluti di rito durante la giornata e la serata. Elizabeth era confusa, irritata ed infelice. Si sentiva assolutamente fuori posto in quella compagnia a suo avviso molto mal assortita, tra coppie anziane, giovinette in cerca di marito, scapoli di diversa estrazione e decisamente più vecchi di quelle fanciulle in fiore. Non che questo fosse un aspetto rilevante, ovviamente, se il padre lo decideva poteva dare in sposa la figlia quindicenne ad un sessantenne e nessuno avrebbe obiettato. A chiudere questa non particolarmente allegra compagnia c’erano lei e Christine Derrick: la dama di compagnia della mantenuta di un duca che si fingeva la parente povera e un’insegnante di paese, vedova di un visconte. Non erano nobili, non erano ricche, non erano belle, non erano giovani. In pratica non avevano nessuna delle doti richieste  ad una donna per stare in società. Forse per questo avevano immediatamente fatto comunella, isolandosi dal gruppo per quanto possibile  e partecipando agli intrattenimenti di gruppo in coppia.
─ Vi ringrazio signora Derrick e anche per me la vostra compagnia è molto piacevole. Però  ogni tanto il disagio che provo nel trovarmi qui prende il sopravvento e mi fa astrarre dalla conversazione, per quanto deliziosa come la vostra. 
Christine rise di cuore, una risata vera, non la risatina sommessa che veniva insegnata alla ragazze di buona famiglia. ─ Io e l’aggettivo “deliziosa” non siamo mai stati accostati! Siete molto gentile signorina Pearse, ma so quando esagero e vi sto monopolizzando da ben quaranta minuti. Tuttavia ritengo che le mie chiacchiere siano migliori di quel patetico tentativo di suonare il piano della signorina King. E perdonatemi l’impertinenza signorina Pearse, non sono solita criticare, ma le mie orecchie sono seriamente offese.
Elizabeth non poté far altro che unirsi alla risata. Era verissimo, Harriet King si accaniva contro la tastiera nemmeno fosse un contadino con l’aratro che rivoltava la terra per la semina. Inoltre l’atmosfera nel salotto giallo primula era opprimente, gli ospiti si stavano annoiando e la stanza più che elegante mostrava la tipica mancanza di stile degli arricchiti, sfoggiando mobili e suppellettili dorati come a sottolineare la ricchezza dei proprietari. Melanie Renable era però amica della signora Derrick, quindi Elizabeth non si era azzardata a criticare alcunché. Si spostò sulla poltrona di velluto voltandosi verso l’angolo in cui Bewcastle stava ancora conversando con la padrona di casa, sottovoce per non disturbare il mirabile intrattenimento della signorina King. Ogni volta che i suoi occhi si posavano su di lui, una fitta dolorosa le trapassava il cuore.
─ Se ho inteso bene signora Derrick, giudicate Sua Grazia un manico di scopa ambulante.
Christine ebbe la decenza di arrossire ─ Oh Cielo, che imperdonabile gaffe da parte mia! E’ un vostro parente dopotutto e credetemi non vi era malizia nel mio commento. E’ che… come avrete notato, non sono certo una vera lady… no, non tentate di negarlo per pura cortesia, mi conosco e conosco i miei limiti. Detto tra noi, francamente me ne infischio di non essere come le altre “signore” qui presenti, voi inclusa. Sono troppo vecchia per cambiare ed ho imparato ad accettarmi per come sono, si vive molto meglio quando lo si fa. Quindi ho l’orribile tendenza a parlare senza prima filtrare i miei pensieri e il duca mi sembra presuntuoso, pomposo, rigido come un asse da stiro e noioso quanto un sermone del vicario Blendingfield. Ecco, ora taccio!
Elizabeth tornò ad osservare Christine. Non era quel che si definiva una donna di classe, i suoi abiti erano semplici e probabilmente le mises sofisticate delle altre ospiti sarebbero apparse incongrue su di lei; i suoi capelli apparivano sempre spettinati anche quando acconciati e una brezza era sufficiente a trasformare la sua testa in un nido di uccelli. Ciononostante possedeva una vivacità ed una spontaneità che conquistavano.
Abbassò gli occhi per fissarsi le mani intrecciate. ─ Vi confesso che stimo molto mio cugino, però tengo anche alla vostra amicizia, dunque siate pure sincera con me. Ma vorrei farvi notare che Sua Grazia è un uomo dalle grandi responsabilità cui, a differenza di molti aristocratici, non si è mai sottratto. Vi concedo che sia rigido e cerimonioso, tuttavia non è affatto noioso quando lo si conosce e soprattutto ha un animo generoso. Vi sarete accorta che da quando siamo qui ha dedicato attenzioni e tempo alla timida e poco attraente signorina Page, attenzioni che nessuno degli altri invitati, uomini inclusi, le ha dedicato. Ogni sera balla con lei persino.
Christine Derrick si schiarì la  gola. ─ Avete ragione sulla signorina Page, le sorelle King la trattano ignobilmente mentre il duca ha mostrato grande nobiltà nei suoi confronti. Forse dopotutto non è così male. Ma ribadisco che sia noioso e pomposo!
Elizabeth represse la risposta che aveva sulla punta della lingua e quella sciocca urgenza di difenderlo. Non aveva bisogno che lei lo difendesse. Non aveva bisogno di lei, punto. L’angoscia le circondò gelida il collo e lo strinse. Improvvisamente Elizabeth sentì che le mancava l’aria. Con la coda dell’occhio si avvide che il signor Mowbry si stava avvicinando, era un uomo gentile e di grande cultura, che aveva mostrato un certo interesse per lei.  Si alzò di scatto, desiderando solo fuggire  dai falsi sorrisi e dagli interminabili e vacui scambi verbali degli ultimi sette giorni.
─ Scusatemi, ho bisogno di prendere una boccata d’aria. ─ Christine la scrutò visibilmente preoccupata dal suo repentino cambio d’umore ─ No vi prego, rimanete pure seduta. Se volete essermi d’aiuto intrattenete il signor Mowbry.
Si avviò a passo sostenuto verso le grandi porte finestre che davano sui giardini, massaggiandosi la tempia sinistra, onde simulare un’emicrania.

L’aria sorprendentemente fresca di quella serata estiva le accarezzò delicatamente la pelle, lieve e amorosa come lei immaginava sarebbero state le mani di Wulfric quando l’avessero toccata. Sfortunatamente era oramai lampante che quelle mani lunghe e signorili non l’avrebbero mai sfiorata, mai toccata, mai presa. Non era ancora venuta a capo dell’enigma che la sua presenza lì rappresentava, ma non si illudeva che fosse il preludio ad una torrida relazione illecita.
Senza rendersene conto si ritrovò davanti al labirinto ed esitò. Era un’ottima occasione per entrarvi finalmente, però essendo sola rischiava di perdersi e se fosse successo e avesse gridato aiuto non l’avrebbero udita dalla casa, perlomeno non subito. Be’ magari si sarebbe guadagnata un poco di salutare solitudine. Si infilò quasi contenta negli intricati cunicoli di bosso, procedendo con poche incertezze verso il centro. Smise di riflettere sui suoi guai e si concentrò sul percorso da seguire, tentando di vivere il momento. Le foglie dei cespugli severamente potate per assomigliare a dei muri verdi, l’odore della terra mischiata alla ghiaia che scricchiolava sotto i suoi piedi, il sibilo del vento che conduceva gli altri odori del bosco oltre i giardini, l’eco sempre più lontana, man mano che procedeva, dei suoni provenienti dalla residenza. Percependo l’animo aprirsi al gioco e rasserenarsi, si tolse le scarpette di camoscio e sollevò le gonne, iniziando a correre e correre, come tornata bambina, veloce sempre più veloce. Il cuore le batteva forte e cominciava a mancarle il fiato e quando giunse effettivamente al centro del labirinto, senza aver mai praticamente sbagliato strada, si mise a girare su sé stessa ridendo felice, come quando suo padre la premiava coi dolcetti profumati di marzapane. Chiuse gli occhi e continuò a girare, godendo di quell’istante come non se ne godeva uno da non ricordava nemmeno più quando. Aveva le vertigini ma non le importava, non voleva fermarsi, non voleva che quell’attimo sospeso nel tempo finisse e poi qualcosa o meglio qualcuno la fermò. Un braccio l’afferrò alla vita e lei si ritrovò a sbattere contro un solido torace. Socchiuse appena gli occhi ma sapeva già chi fosse, il suo profumo era inconfondibile, se lo sognava di notte. Elizabeth si preparò ad essere redarguita e rimessa al suo posto, ma lui non parlò e dopo solo una breve esitazione premette la propria bocca sulle sua, dapprima gentilmente, poi con maggiore veemenza prendendo a tormentarle il labbro inferiore anche coi denti e stuzzicandola con la lingua fin quando lei non aprì la bocca e lui ne prese possesso. La leccò, la succhiò, la provocò tra le labbra e dentro la bocca finché Elizabeth, inebetita dalla sorpresa e bloccata dall’inesperienza, non cominciò a ricambiarlo, timidamente dapprima, con sempre più convinzione poi. La sua lingua imitava quella di lui, sondandolo, avanzando per incontrarlo, ritraendosi per attirarlo ancor più dentro di sé. Elizabeth dimenticò di respirare, dimenticò chi fosse e dove fosse, dimenticò chi era lui, lo strinse a sé convulsamente, aggrappandosi al suo corpo forte e muscoloso, schiacciandosi contro di lui e desiderando di più. Lui aveva un sapore meraviglioso, di brandy invecchiato, ed Elizabeth non aveva mai immaginato si potesse assaggiare la bocca di un uomo e che fosse così eccitante. La sue gambe erano divenute di gelatina, un tremore l’attraversava tutta e le sembrava che il fuoco le scorresse nelle vene. Le pareva che sarebbe morta se lui non si fosse fermato, era sicura che sarebbe morta se lui l’avesse fatto!  E se davvero doveva morire, dopo tutto, di piacere o di vergogna, lei preferiva affogare in quel mare dell’oblio che il bacio perfetto di Wulfric le stava offrendo.

Rispondi

CAPTCHA
Questa domanda serve a verificare che il form non venga inviato da procedure automatizzate
Image CAPTCHA
Inserisci i caratteri che vedi qui sopra

Calendario

Amazon

 

 

Giveaway

Partecipate al giveaway di Mariangela Camocardi, avete tempo per lasciare un commento fino al 9 novembre, quindi registratevi al sito se ancora non lo avete fatto e buona fortuna!

 

Eventi

        

Un'iniziativa di Kijiji

Commenti recenti

Fanfiction

Dream heroes

Alcuni eroi da sogno...