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Home | Slightly Dangerous - Capitolo 11

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Slightly Dangerous - Capitolo 11

SLIGHTLY DANGEROUS

by Maet


Tutti i soggetti descritti nelle storia sono maggiorenni e comunque fittizi. I personaggi e le situazioni presenti nella fanfiction si ispirano a quelli creati da Mary Balogh, che detiene tutti i diritti sull'opera;  questa storia è stata scritta senza alcun fine di lucro e nel rispetto dei rispettivi proprietari e copyright.  

 

Potete leggere il prologo qui:
PROLOGO

Qui il primo capitolo:
CAPITOLO 1

Qui il secondo:
CAPITOLO 2

Qui il terzo:
CAPITOLO 3

Qui il quarto:
CAPITOLO 4

Qui il quinto:
CAPITOLO 5

Qui il sesto:
CAPITOLO 6

Qui il settimo:
CAPITOLO 7

Qui l'ottavo:
CAPITOLO 8

Qui il nono:
CAPITOLO 9


e qui il decimo:

CAPITOLO 10                                                                                    
                                                                                         11


Wulfric aprì gli occhi di soprassalto, una sensazione di angoscia latente che gli serrava la gola come le lunghe dita di una mano gelida. Sbatté le palpebre un paio di volte per schiarirsi la vista e capire dove si trovasse. Non era in camera sua e non riconosceva quella stanza. Poi il braccio sinistro intorpidito richiamò la sua attenzione e si svegliò davvero. Migliaia di spilli appuntiti penetravano incessantemente nella sua carne, ricordandogli che qualcosa ostruiva la corretta circolazione del sangue.
Un corpo.
Un corpo caldo e morbido.
Profumato.
Tenero.
Elizabeth.
Ritirò cautamente il braccio per non destarla. Era nel suo letto, dove aveva trascorso fin troppo tempo a giudicare dalla luce violenta che invadeva ogni angolo, svelandone ogni superficie come le curve di una donna impudica.
Dannazione, ecco la ragione di quell’ansia che pareva mordicchiargli il cuore senza voler davvero affondare le fauci. Sapeva di non doversi addormentare del tutto, avrebbe dovuto rimanere vigile e andarsene ore prima. Era sconveniente e scandaloso che lui si trovasse in quella camera, la reputazione di Elizabeth, già compromessa, ne avrebbe sofferto. Non c’era uno straccio di giustificazione per la sua presenza lì, l’annunciato e ufficioso fidanzamento non li avrebbe salvati dalla censura del ton e non vi era dubbio alcuno che la storia avrebbe fatto il giro della buona società in men che non si dica. Lady Darnley si sarebbe assicurata che giungesse anche alle orecchie dell’anziano duca eremita Rothesay, chiuso da anni nella sua magione nelle Highlands. Sempre che fosse ancora vivo, ovviamente. O magari, sul letto di morte, una storiella simile gli avrebbe prolungato l’esistenza.
Wulfric, ogni tanto, constatava con tristezza quanto ai suoi pari annoiati importasse solo dei pettegolezzi, oltre al potere, allo sperpero dei soldi e al godimento di piaceri più o meno leciti. Ed ora avrebbe fornito su un piatto d’argento l’occasione di sparlare di lui.
Seccante. Molto seccante.
A Wulfric piaceva essere al di sopra di tutto e tutti, non l’avrebbe mai ammesso con gli altri, ma era abbastanza onesto da farlo con se stesso. Non solo il suo lignaggio era antico e impeccabile, ma era stato educato ad essere il migliore, sempre, ad aspirare al meglio e a non commettere mai errori che potessero anche minimamente scalfire la sua immagine.
Non era stato semplice né indolore, soprattutto quando era un ragazzo riottoso e ribelle che pretendeva il lusso di essere sciocco e impulsivo e folle. Aveva appreso a controllarsi a forza di punizioni corporali e umiliazioni. I suoi precettori erano stati inflessibili, giustamente. Lui era il primogenito, sulle sue spalle ricadevano immani responsabilità, la vita di migliaia di persone dipendeva dalla sue azioni. Il confine tra un signore nullafacente e uno debosciato era molto labile.
Rammentava la partenza di suo fratello Aidan, dopo che gli aveva comprato il brevetto di ufficiale. Lo aveva osservato nascosto dai pesanti tendaggi di velluto blu pavone delle finestre del salottino al primo piano, non era stato capace di salutarlo da uomo, di guardarlo negli occhi e ammettere che l’aveva tradito, che aveva tradito il loro patto. Non avrebbero scambiato le loro posizioni, non avrebbe concesso ad Aidan di amministrare le sue proprietà più di quanto avrebbe concesso a se stesso di salire su quel sauro per inseguire sogni di avventura e di lotta.
Sogni di gloria.
Forse si era nascosto prima di tutto da se stesso, dai propri pensieri, dai propri desideri di sovente non controllabili con la sola forza di volontà.
In groppa al cavallo, sotto la pioggia, Aidan aveva sollevato la testa per un fugace momento, cercandolo con gli occhi, quasi sentendo la sua presenza celata.
Wulfric si era ritratto, vergognandosi come un ladro, giurando che sarebbe stata l’ultima volta. Era un ragazzo ma era comunque il duca di Bewcastle, non si sarebbe più lamentato, non avrebbe più cercato giustificazioni, non si sarebbe più scusato per  la sua condotta.

Adesso eccolo lì invece, in una situazione in cui aveva tutto da spiegare, perlomeno a Elizabeth e alla sua famiglia e probabilmente anche da scusarsi. Attività molto spiacevole quella di chiedere perdono, non gli veniva facile o spontanea e inoltre richiedeva una montagna di spiegazioni. Ma tutto a tempo debito, se ne sarebbe preoccupato in seguito, prima doveva uscire da quella camera limitando i danni e garantendosi la piena collaborazione di Elizabeth.
Si stirò piano e smise di fissare il soffitto.
Si girò verso di lei, attendendosi di trovarla ancora addormentata. Invece lo stava osservando, lo sguardo diritto, l’espressione intenta.
Era provata ma non spezzata.
Se glielo avessero chiesto anche solo qualche settimana prima, avrebbe riposto senza esitare che la signorina Pearse era una donna bisognosa di protezione, ora ne dubitava. C’era una forza d’animo in lei, che diveniva evidente a chi la conoscesse anche per poco, una forza di cui lui non si era mai accorto.
Quanto aveva ragione nel labirinto. Lui non l’aveva mai vista, non veramente.
Le sorrise  ─ Buongiorno Elizabeth, come vi sentite?
Lei ricambiò il sorriso, timidamente ─ Non troppo male, tutto sommato. Sono tutta intera e il sole splende, credo che tra un po’ potrei anche riuscire a scendere e affrontare le cerbere, madre e figlia, e il resto dell'allegra compagnia.
Aveva subito un colpo durissimo, eppure tentava di riderci su e coraggiosamente non provava a rifuggire l’inevitabile.
Le prese una mano tra le sue e la baciò prima il dorso, poi il palmo, un bacio lieve, una punta meno che sensuale e una piuma più che fraterno ─ Bene, perché sarà proprio ciò che dovremo fare. Vorrei concedervi tutto il tempo di cui avete bisogno, però non è possibile.
Elizabeth si accigliò.  ─ Siamo nei guai, vero?
Wulfric sospirò ─ Sfortunatamente sì, è già mattino inoltrato e buona parte degli ospiti sarà già scesa a far colazione. La servitù avrà già iniziato a rigovernare le stanze, dunque ho scarse possibilità di uscire da qui e recarmi alla chetichella nei miei alloggi.
─ Come possiamo fare allora?
Brava ragazza, subito collaborativa, niente lacrime isteriche. Oziosamente, Wulfric si domandò se il lavorare rendesse le donne migliori e meno fragili. Be’ magari solo alcuni tipi di lavori, dubitava che le prostituite o le operaie se la spassassero. ─ Dobbiamo limitare i danni. Io uscirò da qui il più discretamente possibile e cercherò di distrarre lady Renable quanto basta affinché vi prepariate. Addurrò improvvisi e inderogabili impegni di famiglia che ci obbligano a partire immediatamente. Poi saluteremo chi è in casa e ce ne andremo a Lindhurst Hall.
Elizabeth spalancò gli occhi, improvvisamente spaventata. ─ Ma… ma ci sarà la vostra famiglia a Lindhurst Hall, cosa diranno quando arriveremo insieme, insomma non mi conoscono e qualcuno tra la servitù potrebbe sapere chi sono. Di certo il vostro segretario…
─ L’ho mandato in vacanza dai suoi ─ la interruppe ─ averlo intorno tutto l’anno mi innervosisce. ─ Elizabeth si morse le labbra, chiaramente per trattenere una risata. ─ Del resto ci occuperemo durante il viaggio, avremo molto tempo per parlarne. Ora dobbiamo sbrigarci. ─ Fece per alzarsi, quando lei lo trattenne per una manica.
─ Wulfric, non vi ho ancora ringraziato per essere rimasto con me stanotte.─ Lo fissò con  occhi ardenti, occhi nelle cui profondità  azzurre rischiava di annegare se non le avesse dato le spalle in fretta. ─ Non sapete quanto abbia significato per me. Non avrei voluto nessun altro accanto, se non voi. Grazie.
Wulfric risentì l’ansia e risentì le fauci affondare di più nella sua carne. Non voleva quella gratitudine, non voleva quell’intensità, non voleva quelle parole che parevano essere il preludio a una confessione che non intendeva ascoltare. ─ Mio dovere Elizabeth, ero latore di pessime notizie, il minimo che potessi fare era restarvi accanto. ─ Tentò di divincolarsi, ma lei non mollò la presa. ─  Elizabeth, vi prego, debbo affrettarmi.
Lei deglutì; una volta, due volte.  ─ No, potete rimanere ancora un attimo. Ho bisogno di confessarmi con voi e se non lo faccio ora, so che non ne avrò più il coraggio ─ disse, solenne come un condannato di fronte al patibolo.
Wulfric si risedette sul letto, i peli del corpo che gli si rizzavano. Scappa Wulfric, scappa!
Elizabeth si schiarì la gola, si coprì il viso con una mano, poi la congiunse all’altra sulla bocca ─ Wulfric, so che non avete una buona opinione di me e che debbo esservi sembrata molto strana e impudente ultimamente…
─ Ho un’alta opinione di voi come donna Elizabeth, nonostante come dipendente negli ultimi tempi mi abbiate dato dei grattacapi, in effetti.
Elizabeth non sorrise, ma i suoi bellissimi occhi si velarono di lacrime e si spalancarono ancor di più per mostrare la sua anima, nuda. ─ Sono contenta di sapere che almeno come donna mi considerate. Anzi è l’unica considerazione che desidero da voi. Non so che accadrà tra di noi, se davvero ci sposeremo, ma se così sarà non debbono esserci menzogne tra di noi, né mezze verità. ─  Si interruppe e fece un respiro profondo. ─ Tutto ciò che ho fatto l’ho fatto perché il mio cuore vi appartiene, Wulfric, per questo e per nessun altro motivo. Io sono e resterò comunque vostra. Vi amo e vi amerò  per sempre. Non mi era possibile tacervelo oltre.
A Wulfric parve di precipitare da una grande altezza. Udì uno schianto lontano e un dolore acuto e bruciante. Il centro del suo essere attraversato da una lama affilata che affondava e affondava per poi uscire di scatto, lasciandolo svuotato e senza equilibrio. E dal suo ventre si irradiava un calore selvaggio che aumentava e aumentava e aumentava. Finalmente, le fauci dell’angoscia lo aggredirono, senza risparmiarlo.
Non voleva essere amato, non così.
Bramava la devozione, la quieta rassegnazione degli affetti sicuri, l’ammirazione sincera, ma non questo.
Non la passione incontrollata di Elizabeth, non il suo amore assoluto, non l’offerta incondizionata di sé.
Dio santo, non lo desiderava!
Se l’avesse anche solo assaggiato poi non avrebbe più potuto farne a meno e non era sicuro di saper o voler ricambiare un sentimento simile. E  così, per la prima volta nella sua vita, Wulfric Bedwyn, duca di Bewcastle, pari del regno, se la diede a gambe.




Le fanfiction pubblicate da Isn’t It Romantic? non potranno essere riprodotte in nessuna forma altrove senza il consenso esplicito del proprietario del materiale, cioè dell’autore della fan fiction. In caso vogliate citarne delle frasi o dei brani altrove, vi richiediamo di avvisare per via privata (email o contatto splinder) le bloggers di Isn’t It Romantic? e l’autore della fanfiction.
 

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