Accesso utente

Nuovi utenti

  • Tata Zia
  • manuela76
  • liliana
  • guarda donatella
  • Vittoria

Twitter

Seguiteci anche su Twitter!

Paper Blog

Wikio

Wikio - Top dei blog - Letteratura

Banner

 

 

Home
Mercoledì, 30 aprile, 2008 - 23:18
naan

Untitled

ASPETTANDO  BARBARA CARTLAND...

Per chi non avesse ancora letto nulla di questa autrice storica e desiderasse provarla in anteprima, o per chi avesse voglia di gustarsi un assaggio dei titoli di prossima uscita nella collana Grandi Saghe Harlequin, eccovi due bellissimi estratti, per i quali ringraziamo sentitamente Sonia aka Ainos, padrona di casa del gruppo yahoo Romanzi Rosa.
http://it.groups.yahoo.com/group/romanzi_rosa/

Buona Lettura!

LA MUSICA DEL CUORE (Love in the Highlands)

Scozia 1876
Lady Lavina Ringwood, una delle fanciulle più ammirate del bel mondo londinese, ha già ricevuto, e respinto, diverse proposte di matrimonio. La notizia che la Regina Vittoria intende darla in sposa a un principe dei Balcani la riempie dunque di sgomento, tanto più che il gentiluomo in questione ha una pessima reputazione. A quel punto, l'unico modo per sottrarsi al destino che l'attende è fingere di essere già promessa a un altro. Il prescelto è il Marchese di Elswick, un potente Pari del Regno che ha fama di misogino e che tuttavia, sorprendentemente, accetta di prestarsi al gioco. Ma mentre fuggono insieme verso la Scozia, Lavinia scopre che l'affascinante Ivan non è affatto disinteressato come lei credeva, e che il suo segreto minaccia l'amore che malgrado tutto è appena sbocciato tra loro.

Capitolo  1

1876

La lettera traboccava di calore e di affetto. È passato tanto tempo dall'ultima volta che vi abbiamo visto, cugino Edward. Troppo, sostiene
la mia cara moglie, e io sono d'accordo con lei.
«Sono d'accordo anche io» mormorò il Conte di Ringwood con un sorriso che gli illuminava il viso largo e gioviale.
«Mi piacerebbe moltissimo rivedere la mia famiglia dopo tanto tempo, e la Scozia è stupenda.»
Quando pensava al meraviglioso panorama delle Highlands, aveva la sensazione che le pareti della biblioteca si chiudessero su di lui, facendogli provare un improvviso desiderio di ampi spazi aperti.
Amava la sua splendida residenza di Londra e la vita che conduceva in città, e apprezzava molto il suo incarico a corte, come consigliere fidato, se non proprio amico, della regina. E gli dava soddisfazione vedere che la sua amata figliola, Lavina, era la giovane donna più ammirata del bel mondo.
Affascinante, alla moda, elegante e bellissima, lo rendeva estremamente orgoglioso. Lavina aveva già respinto cinque proposte di matrimonio, tra cui quella di un duca. Segretamente Lord Ringwood ne era sollevato, perché dopo la morte dell'adorata moglie, avvenuta quattro anni prima, sua figlia era l'unica persona che gli era rimasta da amare.
La loro vita era lì, al centro della scintillante società mondana, e non l'avrebbero cambiata per niente al mondo. Tuttavia, qualcosa nella lettera che stava leggendo, forse gli accenni alle distese di erica e ai
torrenti, alle montagne e ai laghi del nord, gli fece provare un'acuta nostalgia.
Mi rendo conto che la Scozia è molto lontana da Londra, scriveva suo cugino Ian, e che voi avete un incarico importante presso Sua Maestà, tuttavia vivo nella speranza che un giorno voi e Lavina, che ormai deve essere una donna, ci darete la gioia di una vostra visita.
«In effetti sarebbe ora di andarci» riconobbe tra sé Lord Ringwood, prendendo la penna e la carta per rispondere alla lettera. In quell'istante il maggiordomo aprì la porta annunciando: «Il Duca di Bradwell, milord».
Lord Ringwood si alzò in piedi per dare il benvenuto al visitatore, felice di vedere il suo più vecchio amico.
«Salute, Bertram» lo accolse. «Che piacere inaspettato.»
Il duca era un uomo alto, anziano, dal portamento eretto. Nonostante i capelli bianchi aveva un aspetto sano e vigoroso, ma quel giorno appariva turbato. «Sono qui per una faccenda urgente»
esordì senza preamboli.
«Deve essere davvero urgente per portarvi qui a quest'ora» osservò il conte in tono gioviale. «So quanto detestiate alzarvi presto.»
«È vero» confermò il duca, «ma ci sono guai in vista e prima ne siete informato, prima potrete correre ai ripari. Sarei venuto ad avvisarvi ieri sera, ma ero a un ricevimento e non potevo assolutamente allontanarmi.»
«Sedete» lo invitò il conte, «e raccontatemi tutto.» Dal tono leggero si capiva che non credeva di
ricevere sul serio delle notizie gravi.
Il duca fece una pausa prima di cominciare. «Ieri sera ero al Castello di Windsor, al seguito della regina. Dopo cena, come di consueto, ci siamo trasferiti tutti nelle stanze private di Sua Maestà. Mi aspettavo che si parlasse delle notizie locali, la solita noia, insomma, quando un messaggero ha portato una lettera urgente per la regina. Sua Maestà l'ha letta e poi, del tutto inaspettatamente, con voce brusca ha annunciato: "Un'altra lettera con cui mi si chiede di procurare una moglie a un principe dei Balcani, il cui paese è minacciato di invasione dai russi. Ho ripetuto molte volte che non posso fare altro per i Balcani. Come tutti sapete, ho mandato loro molte spose inglesi per rinsaldare l'alleanza con il nostro paese".»
«È vero» osservò il conte. «Di chi si tratta questa volta?»
«Del Principe Stanislaus di Kadradtz. Il suo è un principato piuttosto piccolo, ma si trova in una posizione strategica: da una parte confina con l'Erzegovina, dall'altra con l'Albania. Adesso la Russia gli soffia sul collo e Stanislaus si aspetta che la regina gli fornisca una sposa inglese, come ha fatto per altri suoi connazionali.»
«Non per niente Sua Maestà è stata soprannominata la paraninfa d'Europa» commentò il conte sorridendo.
«Riderete meno, mio vecchio amico, quando vi dirò chi ha in mente stavolta la regina» replicò il duca. «Sapevate che la sua bisnonna era imparentata con la vostra famiglia?»
«Buon Dio, è roba di secoli fa. Di certo i Ringwood non si vantano della parentela con la famiglia reale.»
«Disgraziatamente per voi e per Lavina, la regina invece conta proprio su questo antico legame.»
«Lavina?» Udendo il nome dell'amata figliola, il conte smise di sorridere, improvvisamente allarmato.
«Che cosa intendete dire, Bertram? Sua Maestà non starà pensando di dare Lavina in sposa al Principe Stanislaus?»
«Ha già deciso. Ieri sera ci sono stati parecchi mormorii di disapprovazione. Molti gentiluomini presenti conoscono il principe e hanno una cattiva opinione di lui. Lo descrivono come un ubriacone, donnaiolo e violento, ma Sua Maestà si è rifiutata di dare ascolto a queste obiezioni. Sapete quanto può essere ostinata: quando dà un ordine, si aspetta obbedienza assoluta. Se la sfidate, perderete la vostra posizione a corte e cadrete in disgrazia. Chi ha cercato di tenerle testa è stato bandito dalla società.»
«Questo è un incubo» gemette il conte, prendendosi la testa tra le mani. «Che cosa posso fare? Per amor di Dio, Bertram, ditemi come posso salvare mia figlia dal matrimonio con quest'uomo spaventoso, dall'esilio in un paese lontano che vive sotto la minaccia di un'invasione.»
«Vi capisco, amico mio» rispose il duca. «Neppure io vorrei veder finire là un mio congiunto.
Sono venuto ad avvisarvi che sarete convocato al Castello di Windsor: la regina vuole darvi l'annuncio
di persona.»
«Dannazione, Bertram, che cosa posso fare?» ripeté il conte.
«Io vedo solo due possibilità. La prima è lasciare il paese – anche se ritengo Sua Maestà capace di mandare una nave a riacciuffarvi – la seconda è che facciate sposare o almeno fidanzare vostra figlia prima di ricevere la convocazione a corte.»
«Come posso farlo, in nome di Dio?» si disperò il conte. «Lavina ha già rifiutato tutti gli scapoli più ambiti di Londra. Non possiamo certo rivolgerci a loro, adesso.»
«C'è un uomo che potrebbe aiutarvi, sempre che accetti di farlo. Il Marchese di Elswick. Se Lavina fosse già promessa, neppure la regina potrebbe aspettarsi che rompa il fidanzamento.»
Il conte fissò sbalordito il suo vecchio amico.
«Volete che Lavina sposi Elswick?» chiese, esterrefatto.
«Non voglio che lo sposi, naturalmente. Un fidanzamento può bastare. Potrà essere sciolto più avanti, quando la regina avrà trovato qualcun'altra, o avrà detto al principe di arrangiarsi.»
«Non credo alle mie orecchie» ribatté il conte.
«Mio vecchio amico, so che siete animato dalle migliori intenzioni e vi sono grato per avermi avvertito,
ma deve avervi dato di volta il cervello se pensate a Elswick. Sapete che non sopporta che si parli di fidanzamenti e di matrimoni, dopo quello che gli accadde.»
«So che la sua fidanzata lo abbandonò davanti all'altare» riconobbe il duca. «Ma sono passati molti anni da allora.»
«Lui però non ha dimenticato» spiegò il conte.
«Odia il genere femminile. La sua residenza di campagna dista poche miglia dalla nostra, e tutti sanno che non vuole donne tra i piedi.»
«Eppure è la persona più indicata per aiutarvi»
insistette il duca. «Come dite voi, è un uomo bizzarro, duro e solitario, cui non importa niente della società e molto poco della regina, come mi capita a volte di pensare. Tuttavia questo torna a nostro vantaggio, perché significa che lui non ha paura di suscitare l'ira di Vittoria e, di conseguenza, potrebbe accettare la vostra proposta. Inoltre non è certo il tipo da accampare sciocche scuse come quella che la regina fa un grande onore a Lavina dandola in moglie a un principe. Anche di questi ultimi gliene importa ben poco.»
«Credete che Elswick accetterà?»
«Non sarà facile convincerlo» replicò il duca con franchezza. «Ma al momento non mi viene in mente nessun altro.»
«Io voglio soltanto la felicità di Lavina» protestò il conte, arrabbiato. «Le voglio bene ed è la mia unica figlia. Come potrebbe essere felice andando a vivere in un paese barbaro con un uomo dalla pessima reputazione?»
«Vi capisco» convenne il suo amico. «Tuttavia dovete rendervi conto che Sua Maestà è in una posizione molto difficile. Per motivi diplomatici non può opporre un rifiuto al principe senza una valida motivazione.»
«Ho bisogno di riflettere sul modo migliore per risolvere la faccenda» annunciò il conte. «Per fortuna, ho tempo fino a domani.»
«Che cosa ve lo fa pensare?»
«Domani sarò in servizio al seguito della regina, e immagino che Sua Maestà aspetterà fino ad allora per parlarmi.»
«Non fateci conto. La lettera era urgente ed è probabile che la regina vi mandi un messaggero oggi stesso. È una fortuna che non foste in servizio quando l'ha ricevuta. Se foste stato a Windsor, vi avrebbe messo subito con le spalle al muro.»
«Santo cielo! Avete ragione, Bertram. Devo partire immediatamente» dichiarò il conte alzandosi per tirare il cordone del campanello di fianco al caminetto.
Il maggiordomo si presentò immediatamente. «Avete suonato, milord?»
«Sua Signoria e io dobbiamo tornare subito in campagna» lo informò il conte. «Vogliate avvisa re Sua Signoria, poi date disposizioni affinché la carrozza e i cavalli più veloci siano pronti a partire entro un'ora.»
Per quanto sconcertato dal tono aspro del padrone, il maggiordomo si limitò a replicare: «Subito, milord» prima di uscire dalla stanza.
«Fin qui tutto bene» commentò il duca. «Ma non è sufficiente. È una fortuna che la residenza di campagna di Lord Elswick disti appena qualche miglio dalla vostra, così potrete mettervi subito in contatto con lui. Chiedetegli se sarebbe disposto a fidanzarsi con vostra figlia o se conosce qualcuno con una posizione sociale altrettanto elevata che possa aiutarvi. Aspettate! Ci sono... Che ne dite del Duca di Ayelton?»
«Lavina l'ha già respinto» gemette il conte. «E lui se ne è molto risentito. So che adesso sta facendo
la corte a un'ereditiera americana.»
«Avete poco tempo» insistette il duca. «Tutti sappiamo che quando Sua Maestà si mette in testa una cosa, la vuole subito... anzi, se possibile per il giorno prima!» concluse sorridendo della propria battuta.
Il conte invece aveva un'aria molto preoccupata.
Andò allo scrittoio, prese diverse missive ancora sigillate e se le mise in tasca; poi vide la lettera del cugino scozzese alla quale stava per rispondere quando l'inattesa calamità si era abbattuta sul suo capo, e infilò in tasca anche quella.
Sembrava trasognato. «Supponiamo che Elswick rifiuti» disse alla fine. «Ci sarà pure qualcun altro a cui possa rivolgermi – se necessario lo supplicherò in ginocchio – per salvare mia figlia.»
«Non mi viene in mente nessuno» rispose con franchezza il duca. «Sapete bene quanto me che tutti si prostrano davanti alla regina. La maggior parte di coloro che riteniamo amici non alzerebbe un dito per aiutarci in una situazione del genere. Inoltre dovrà trattarsi di un personaggio molto importante, come il marchese, altrimenti la regina si limiterà a dichiarare nullo il fidanzamento.»
La porta si aprì e il maggiordomo annunciò: «La carrozza sarà pronta tra mezzora, milord. Lady Lavina è stata informata e si sta preparando ».
Non appena il maggiordomo ebbe richiuso la porta, il duca si alzò dal divano. «Vorrei potervi aiutare di più, Edward» disse. «Siete sempre stato un buon amico per me. Ma il fidanzamento con Elswick, sebbene difficile da realizzare, è l'unica soluzione che sono in grado di suggerirvi.»
«Dannazione!» esclamò il conte. «Mia figlia non sarà obbligata a contrarre questo matrimonio. Lei è tutto ciò che mi resta dopo la morte di mia moglie.»
In quel momento la porta si aprì e Lady Lavina fece il suo ingresso.
Era una giovane donna alta e snella, estremamente affascinante, il cui viso, oltre alla bellezza, dimostrava anche forza e carattere. I grandi occhi azzurri scintillavano, a seconda dell'occasione, di rabbia o di calore, e non era mai a corto di parole. Alcuni uomini erano intimoriti dalla forza della sua personalità, altri invece la trovavano stuzzicante. Il duca la trovò perfino più bella dell'ultima volta che l'aveva vista.
Con i lunghi capelli scuri che riflettevano la luce del sole che entrava dalle finestre, Lavina sollevò il bel viso per baciare il padre prima di domandare:
«Che cosa succede, papà? Perché tanta fretta di partire per la campagna? Ieri avete detto che potevamo restare a Londra ancora una o due settimane, e poi stasera siamo invitati a cena dagli O'Donnell».
«Lo so» replicò suo padre. «Ma il duca ci ha portato cattive notizie. Vi metterà al corrente lui stesso.»
Lavina si girò verso il duca. «Zio Bertram, che cos'è accaduto?»
«Sono venuto ad avvisare vostro padre che correte un grave pericolo.»
«Io? Un pericolo?» esclamò Lavina. «Che cosa intendete dire?»
«La regina sta cercando un'altra sposa di sangue reale da mandare nei Balcani» spiegò il duca.
«E questa volta la sua scelta è caduta su di voi.»
Lavina scoppiò in un'allegra risata. «Dev'essere uno scherzo. Io non sono di sangue reale.»
«La bisnonna di Sua Maestà era imparentata con i Ringwood, e per Vittoria questo è più che
sufficiente.»
Lavina emise una sommessa esclamazione.
«Ma è una cosa di dominio pubblico, e finora nessuno ha mai dato importanza a questa lontana
parentela!»
«Finora Sua Maestà non ha avuto bisogno di servirsi di voi» fu la caustica risposta del duca.
«E vorrebbe che io mi sposassi... con chi, esattamente?»
«Il Principe Stanislaus di Kadradtz, un individuo assai riprovevole, sembra: ubriacone, violento e immorale. Inoltre, corre voce che non si lavi spesso.»
Lavina rabbrividì. «Non potrei mai sposare un uomo che non si lava.»
«Certo che no» convenne il duca. «Dobbiamo escogitare un piano per salvarvi, e la soluzione migliore è che vi fidanziate subito con qualcun altro. Perfino la regina sarà tenuta a rispettare un fidanzamento già ufficiale, a condizione che il vostro promesso sposo sia un personaggio abbastanza importante... e abbia un carattere deciso.»
Lavina si accigliò. «Il mio promesso sposo? E chi sarebbe, di grazia?»
«Il Marchese di Elswick» la informò il duca. «La vostra sola speranza è che lui si presti a tenere in piedi un fidanzamento fasullo fino a quando la regina non avrà trovato un'altra fanciulla in età da marito da mandare nei Balcani.»
«Il Marchese di Elswick!» gli fece eco Lavina, sbalordita. «È impossibile. Tutti, ma non lui.»
«So che ha la reputazione di essere un uomo poco simpatico» riconobbe il duca.
«Più che meritata» puntualizzò Lavina.
«Lo conoscete, mia cara?» domandò suo padre, sorpreso. «Non me l'avevate mai detto.»
«Dire che lo conosco non è esatto, papà. Mi è capitato di incontrarlo tre anni fa, quando ero ospite dei Bracewell. Una sera il marchese capitò a casa loro.»
«Che cosa straordinaria!» esclamò il duca.
«Non ho mai sentito dire che il Marchese di Elswick sia capitato a casa di qualcuno.»
«Mi risulta che Lord Bracewell gli debba del denaro» rifletté il conte.
«Ah, be', questo spiega tutto» commentò saggiamente il duca. «Dunque, mia cara Lavina, secondo
il vostro giudizio il marchese avrebbe dei modi scostanti e antipatici?»
«Credo che sia opinione diffusa tra tutti coloro che lo conoscono» replico lei, rigida.
«Il che non deve impedirvi di accettare il suo aiuto» la ammonì il duca.
«Per quale motivo dovrebbe accettare di aiutarmi? Ho sentito spesso parlare del suo odio nei confronti delle donne. Non credo proprio che vorrà sposare me.»
«Non dovrà farlo, infatti» obiettò il duca. «Si limiterà a rendere noto il fidanzamento. Poi, quando il pericolo sarà cessato, lo ringrazierete per la sua gentilezza e insieme annuncerete che il fidanzamento è stato rotto consensualmente.»
Lavina si premette le mani sulle guance arrossate.
«Oh, papà, dovete salvarmi. Non voglio lasciarvi. Credete che il piano di zio Bertram possa funzionare?»
«Deve» fu la risposta cupa del conte. «È per questo motivo che dobbiamo partire subito, prima che arrivi il messo di Sua Maestà.»
«Oh sì, vi prego, partiamo immediatamente!» esclamò Lavina.
Con un gesto improvviso, si girò verso il duca e gli gettò le braccia al collo. «Grazie di tutto, zio Bertram.»
Anche il conte si avvicinò all'amico e gli strinse la mano. «Saremo sempre in debito con voi»
disse. «Vi ringrazio dal profondo del cuore di averci avvertito tempestivamente. Se Sua Maestà dovesse chiedere di me, potreste dirle...»
«Buon Dio, no, caro amico» sbottò il duca, allarmato.
«Non dirò una parola. Se scoprisse che vi ho avvisato, la regina mi butterebbe fuori a calci. » E strizzando l'occhio al conte e a sua figlia aggiunse: «Vi terrò informati sulle mosse di Sua Maestà».
«Non so come esprimervi la mia gratitudine» ripeté il conte.
«Neppure io» aggiunse Lavina. Posò le mani sulle spalle dell'anziano duca e lo baciò sulla guancia. «Se riuscirò a cavarmi d'impiccio grazie a voi, vi sarò grata in eterno e vi vorrò bene più di quanto riesca a esprimere a parole.»
Il duca le sorrise. «Vostro padre è stato estremamente gentile con me in passato, e io ho sempre desiderato di vedervi entrambi felici» rispose con grande semplicità. «Qualsiasi cosa possa fare per voi, in qualsiasi momento, basta che me lo facciate sapere.»
«Siete meraviglioso» dichiarò Lavina, baciandolo un'altra volta. Poi corse nel vestibolo e indossò il mantello che il maggiordomo le aveva preparato, dopodiché salì in carrozza, seguita dal padre.
Pochi istanti dopo, la vettura partì rumorosamente, dando inizio alla prima parte del viaggio.
«Siamo sfuggiti al pericolo» sussurrò Lavina. «Ma solo per il momento. Oh papà, dobbiamo
andarcene per sempre. Dovete salvarmi!»
Il conte mise un braccio intorno alle spalle della figlia, tenendola stretta. Aveva un'espressione molto risoluta.
Il viaggio dalla capitale a Ringwood Place, nell'Oxfordshire, era piuttosto lungo e Lavina ebbe molto tempo a disposizione per riflettere. Quello che aveva raccontato al conte riguardo al suo unico incontro con Lord Elswick era vero, ma non era tutto.
Tre anni prima, quando aveva diciassette anni e stava per debuttare in società, era stata ospite dei Bracewell nella loro casa di Londra. Poiché Lavina era orfana di madre, Lady Bracewell aveva accettato
di farle da madrina a patto che prima perfezionasse la sua educazione mondana.
Per aiutarla a "entrare nello spirito della debuttante", come aveva spiegato la sua gentile ospite, i Bracewell avevano dato alcuni balli improvvisati, ai quali erano stati invitati per fare numero gli amici dei loro numerosi figli, che formavano una compagnia molto allegra.
Una sera, mentre stavano ballando, qualcuno aveva suonato il campanello e poco dopo il maggiordomo
aveva annunciato Lord Elswick.
Lavina era stata subito colpita dall'aspetto terribilmente romantico del giovane gentiluomo: alto, bruno, con il viso affilato, una bella fronte e lineamenti scultorei, sembrava l'eroe di un romanzo, attraente e malinconico com'era.
Aveva potuto osservarlo solo per pochi istanti, perché subito il marchese era stato accompagnato nello studio del padrone di casa, ma l'impatto che aveva avuto sul suo cuore era rimasto indelebile.
Pochi minuti più tardi c'era stata una pausa perché i ballerini potessero riprendere fiato e dissetarsi con la limonata, e Lavina ne aveva approfittato per appartarsi con la giovane Lady Helen Bracewell, la sua migliore amica.
«Non è bellissimo?» aveva ridacchiato Helen.
«Sembra proprio il Giovane Aroldo» aveva sussurrato Lavina.
Sapeva che Helen avrebbe colto l'allusione, perché entrambe avevano sospirato insieme sull'eroe stanco della vita cantato da Lord Byron. In un poema di cinque canti, il Giovane Aroldo vagava per il mondo, soprattutto in luoghi esotici, cercando di sfuggire alla malinconia e alla noia, finché, perseguitato dalla tragedia, non si rifugiava nella bellezza; il mondo deponeva allora le sue delizie ai piedi del giovane, e lui le accoglieva con un debole sorriso che tradiva un tormento interiore sopportato con coraggio.
Il fratellino minore di Helen aveva sbuffato, sdegnoso, commentando: «Che personaggio ridicolo, non fa altro che piangersi addosso!».
Le due fanciulle l'avevano cacciato con alte grida di indignazione. Lavina, in particolare, si era infuriata. Come si poteva essere tanto insensibili nei confronti di quel giovane e tormentato eroe?
Aroldo aveva ossessionato i suoi sogni di notte e stimolato la sua immaginazione di giorno, e lei si era convinta che, una volta in società, non avrebbe trovato nessuno che potesse reggere il paragone con quella figura romantica. Poi la porta si era aperta e "Aroldo" era entrato nella sala, pallido, con gli occhi scuri, intenso, come se si muovesse altezzosamente al di sopra della gente comune.
Di sicuro c'era stata un'emozione repressa nel breve inchino che il marchese aveva rivolto a Lady Bracewell, una pena segreta nell'indifferenza con cui aveva guardato i ballerini.
Ah, aveva pensato con l'appassionato fervore dei suoi diciassette anni, tali piaceri non erano per lui. Non potevano lenire la ferita segreta che avvelenava la sua vita.
Non aveva idea di quale ferita fosse, ma quando Helen le aveva sussurrato che il marchese era stato abbandonato dalla fidanzata il giorno delle nozze, tutto le era stato chiaro.
Avevano ricominciato a ballare. Volteggiando per la sala, Lavina aveva cercato di tenere d'occhio la porta dalla quale il marchese sarebbe uscito, una volta concluso il colloquio con Lord Bracewell.
Sapeva già cosa sarebbe accaduto: Lady Bracewell l'avrebbe invitato a unirsi al ballo improvvisato e lui, sia pure con riluttanza, avrebbe accettato. Poi si sarebbe accorto di Lavina e sarebbe rimasto immobile, riconoscendo in lei la sua anima gemella. Allora si sarebbero guardati negli occhi, entrambi consapevoli che il dado era tratto, e lui, dimenticando la donna senza cuore che l'aveva abbandonato, dal quel momento in poi avrebbe vissuto soltanto per Lavina.
Quel pensiero esaltante le aveva fornito uno slancio improvviso, e lei aveva cominciato a volteggiare in una danza inebriante. Gli altri giovani si erano fermati per ammirarla, mentre il suo compagno la lasciava andare per permetterle di ballare da sola.
Dimentica di tutto, tranne che della propria gioia, lei aveva danzato in un'estasi di felicità. Per qualche glorioso istante si era sentita padrona del mondo.
La musica aveva rallentato per poi cessare del tutto mentre lei sprofondava in una riverenza, accolta dagli applausi frenetici degli altri giovani.
Quando si era rialzata, i suoi occhi avevano incontrato quelli di Lord Elswick.
Lui la stava fissando intensamente, ma la sua espressione era spenta. Con la fiducia della giovinezza,
Lavina l'aveva interpretata a suo piacere: evidentemente il marchese era rimasto incantato dalla sua grazia e dalla sua bellezza.
Lady Bracewell stava parlando con lui, e gli indicava sorridendo i giovani radunati. Lavina si era avvicinata un poco per permettergli di vederla meglio.
Poi il marchese si era stretto nelle spalle, girandosi, e a Lavina erano giunte quelle parole terribili.
«Mia cara Jemima, perdonatemi, ma ho di meglio da fare che giocare con dei bambini.»
Alla matura età di vent'anni, Lavina si rendeva conto che l'insulto di Lord Elswick era stato alquanto lieve. Non aveva ancora fatto il suo debutto in società e dunque, ufficialmente, era ancora una bambina. Nessun insulto, quindi, bensì una semplice constatazione.
Ma a diciassette anni la sua sensibilità ne era stata devastata. Di colpo si era resa conto di essere senza fiato, con i capelli scarmigliati e le guance arrossate. Si era comportata con impudenza e adesso ne subiva le conseguenze. Peggio ancora, aveva udito dietro di sé dei risolini soffocati. Come tutte le giovani donne molto belle aveva delle nemiche, fanciulle della sua età che con lei si mostravano amiche, mentre alle sue spalle, invidiose, godevano segretamente nel vederla mortificata. E finalmente potevano ridere di
lei.
Quella notte Lavina aveva soffocato i singhiozzi nel cuscino giurando che mai, per tutta la vita, avrebbe perdonato Lord Elswick.
Ora però si accingeva a chiedere il suo aiuto, dunque immaginava di doverlo perdonare. Qualsiasi cosa, del resto, sarebbe stata preferibile alle nozze forzate con il Principe Stanislaus.
Tuttavia avrebbe preferito che l'alternativa non fosse Lord Elswick.




MATRIMONIO PER SCOMMESSA (The Taming of Lady Lorinda)

Inghilterra, 1794
La prima volta che Durstan Hayle vede Lady Lorinda Camborne, la più spregiudicata e ammirata gentildonna dei salotti londinesi, non può che paragonarla a una novella Lady Godiva per il suo oltraggioso comportamento. Scandalizzato, il gentiluomo scommette mille ghinee con un amico che riuscirà a domare l'imprevedibile fanciulla. Ma non ha fatto i conti con il carattere ribelle e caparbio di Lorinda, che è decisa a non sposarsi e non si piega nemmeno quando l'avidità e l'indifferenza del padre la costringono a sposare Durstan, l'unico uomo che apparentemente è immune al suo fascino.

Capitolo 1

1794

L'uomo con la maschera verde osservava dall'alto la sala da ballo, illuminata da una profusione di candelieri di cristallo che proiettavano tutto intorno un caleidoscopio di riflessi variopinti.
Agli invitati era stato chiesto di presentarsi travestiti a seconda della propria ispirazione e così inevitabilmente c'erano una dozzina di Cleopatre, parecchi giullari e una predominanza di acconciature
e gorgiere elisabettiane.
Mentre guardava le coppie che danzavano accompagnate dalla musica di un'orchestrina alloggiata nella Galleria dei Musicisti, l'uomo con la maschera verde si irrigidì all'improvviso. «Pensavo che mi avreste condotto a un ballo frequentato dal cosiddetto Beau Monde» disse sorpreso al suo accompagnatore.
«Precisamente.»
«Queste non sono dunque delle graziose cortigiane?»
«Naturalmente no! Sono le dame più aristocrati che dell'alta società, gentildonne appartenenti alle più nobili famiglie d'Inghilterra.»
«Non posso crederci!»
Mentre parlava con il suo accompagnatore, il gentiluomo con la maschera verde non osservava gli occhi che scintillavano o le labbra di rubino che spiccavano sotto le maschere di velluto, e nemmeno le candide gole ornate di gioielli. Fissava invece i seni dalle punte rosate che spuntavano maliziosi dalle audaci scollature o che trasparivano dalle stoffe impalpabili degli abiti, intesi a mostrare più che a nascondere fianchi torniti e gambe squisitamente modellate nonché spesso nude.
«Siamo davvero in Inghilterra?» proruppe infine, scandalizzato.
Il suo amico scoppiò a ridere. «Avete trascorso troppo tempo lontano da casa. Negli ultimi anni sono cambiate parecchie cose e, come scoprirete, non tutte per il meglio.»
«Quando sono partito» osservò l'uomo con la maschera verde, «le donne erano virtuose e docili, gentili e sottomesse ai loro mariti.»
«Ebbene, tutto ciò non è più di moda, oramai»
replicò il suo accompagnatore. «Oggi le donne non sono più il sesso debole. Partecipano alle corse dei
cavalli e delle carrozze, vanno a caccia, giocano a cricket contro altre squadre femminili e, nel caso delle principesse di sangue reale, perfino a calcio.»
«Buon Dio!»
«Si considerano uguali agli uomini, e questo è evidente anche nel loro aspetto.»
«Ho notato, infatti, che la cipria è scomparsa.»
«Sia per gli uomini che per le donne, grazie a Dio! Certo, dobbiamo ringraziare il Principe di Galles per la moda au naturel.»
«Per quanto riguarda noi uomini, è senza dubbio un sollievo» commentò l'uomo con la maschera
verde. «Ma per le donne è tutt'altra faccenda.»
«Il nuovo ordine» replicò il suo amico in tono divertito, «impone la victime coiffure, un taglio di ovvia provenienza francese che si ispira alla rivoluzione.» Con un gesto della mano, continuò a spiegare: «Le acconciature alte ed elaborate del vecchio regime sono scomparse. Ora si preferiscono riccioli scompigliati ad arte e, per completare l'effetto, un sottile nastro di velluto rosso intorno al collo».
«Pensando a tutti coloro che hanno perso la vita sotto la ghigliottina, lo trovo di pessimo gusto» osservò
l'uomo con la maschera verde.
«Mio caro amico, molte delle cose che facciamo sono di pessimo gusto, eppure tutti quanti continuiamo
a farle.» Guardò il suo compagno con aria maliziosa, prima di proseguire: «A Carlton House, molte donne portano abiti che scoprono del tutto i seni, o li velano con tessuti talmente sottili che non lasciano nulla all'immaginazione».
L'uomo con la maschera verde non replicò.
Continuava a guardare le coppie che volteggiavano nella sala sottostante, notando che anche la danza stava diventando più selvaggia e i movimenti dei ballerini più scomposti.
«Mi giudicherete all'antica...» iniziò a dire, ma la sua voce si spense all'improvviso.
Era una calda serata di giugno e le alte portefinestre che si affacciavano sul giardino erano spalancate; in quel momento da una di esse, apparizione del tutto inattesa e sorprendente, era entrato uno splendido cavallo nero. Lo montava una donna che, a una prima occhiata, sembrava vestita soltanto dei lunghi capelli d'oro rosso che le scendevano fino ai fianchi.
A un esame più attento, tuttavia, l'osservatore scopriva che la sella, di foggia messicana con decorazioni
d'argento, era rialzata davanti e dietro e copriva almeno le parti intime. E anche i capelli erano acconciati in modo che solo le braccia e le gambe della donna fossero visibili.
L'audace apparizione, però, montava a cavalcioni, cosa di per sé scandalosa, e come se disdegnasse
nascondersi non portava alcuna maschera. I suoi grandi occhi verdi, che sembravano occupare quasi
tutto il viso, scintillavano divertiti.
L'uomo con la maschera verde ritrovò la voce solo dopo qualche istante. «Buon Dio! Chi è quella donna?»
«Lady Lorinda Camborne» lo informò il suo compagno, «la più impertinente di tutte le gentildonne londinesi.»
«Appartiene sul serio a una famiglia onorata?»
«Suo padre è il Conte di Camborne e Cardis.»
«Se avesse un po' di buonsenso, le darebbe una sonora sculacciata e la riporterebbe a casa.»
«È improbabile che la veda, dato che non alza mai gli occhi dal tavolo da gioco.»
«Un giocatore d'azzardo?»
«Incallito.»
«E lei... quanti anni ha?»
«Una ventina, immagino. Da due anni è la bellezza più acclamata di St. James.»
«Sul serio?»
«Che razza di censore siete! Sì, Lady Lorinda si comporta in modo riprovevole e non nego che le sue provocazioni siano oggetto di costanti pettegolezzi, ma almeno è di una bellezza a dir poco eccezionale.»
L'uomo con la maschera verde non replicò. Osservava Lady Lorinda che, sul suo magnifico stallone
nero, faceva il giro del salone.
I ballerini si erano fermati per applaudirla; gli uomini le gridavano incoraggiamenti e qualcuno le gettava dei fiori mentre passava.
«Da White la scommessa era che lei non avrebbe osato apparire nuda» raccontò l'accompagnatore all'uomo con la maschera verde. «Ebbene, non solo lei ha vinto la scommessa, ma ingenti somme di
denaro cambieranno mano, come sempre succede quando Lady Lorinda ne combina una delle sue.»
Compiuti due giri completi della sala, inaspettatamente come era arrivata Lady Lorinda uscì da
una portafinestra e scomparve.
«Non la rivedremo più?» si informò l'uomo con la maschera verde.
«Santo cielo, no! Fra poco ricomparirà, indossando qualcosa di fantasioso e senza dubbio tutt'altro che anonimo. Sarà una delle ultime ad andarsene.»
«Dunque le piacciono questi intrattenimenti?» domandò il gentiluomo con la maschera verde in tono vagamente sprezzante.
«Naturalmente. Questa è la sua vita: balli ogni sera, feste sfrenate a Vauxhall e apparizioni nei ritrovi peggio frequentati di Londra. Ovunque vada, si lascia dietro una scia di cuori infranti.» L'informatore fece una pausa prima di proseguire: «Si narrano molte storie su Lady Lorinda. Una delle ultime è quella del Marchese di Queensbury...».
«Buon Dio, quel vecchio caprone è ancora in circolazione?» lo interruppe l'uomo con la maschera verde.
«Solo la morte, suppongo, potrà fermare quel libertino! Come stavo dicendo, qualche tempo fa gli è venuto il ghiribizzo di vestire i panni di Paride per assegnare la famosa mela con su scritto "alla più bella".»
«Se la contendevano tre dee se ricordo bene...»
«Esatto.»
«Volete dire che le tre candidate erano nude?»
«Completamente!»
«E che una di loro era Lady Lorinda?»
«Così mi è stato riferito.»
«Ma davvero gli uomini si innamorano di una donna come quella?»
«Ovvio! Lasciatemi spezzare una lancia in favore di Lady Lorinda: ha coraggio e personalità, qualità che spesso mancano alle sue coetanee. Nessuno potrebbe mai ignorarla.»
«O meglio evitare di notarla!» osservò seccamente l'uomo con la maschera verde.
«Credo che dovrei farvela conoscere» sorrise il suo compagno. «Le farebbe bene incontrare un uomo che non cade in ginocchio davanti alla sua bellezza e che non si lascia calpestare dai suoi graziosi piedini.» Dopo una breve esitazione soggiunse: «Oh, vedo che è arrivato il Principe di Galles. Venite, vi presento. Gli farà piacere apprendere da voi ciò che accade in un'altra parte del mondo».
Più tardi, dopo aver cenato al tavolo reale, l'uomo con la maschera verde lasciò la sala da pranzo e, trovando sgradevolmente alta la temperatura nella sala da ballo, uscì in giardino.
Il ricevimento si teneva a Hampstead e l'uomo con la maschera verde pensò che era come essere in campagna. Una lieve brezza faceva stormire le foglie dei grandi alberi, dalle aiuole saliva la fragranza dei fiori e le stelle brillavano come diamanti nel cielo.
Fece un respiro profondo pensando a quanto era diversa quell'aria dal calore soffocante dell'India.
A un tratto, una voce maschile interruppe le sue solitarie meditazioni.
«Per amor del cielo, Lorinda, ascoltatemi. Vi amo! Sposatemi o mi ucciderò, ve lo giuro!»
L'uomo con la maschera verde si irrigidì. La voce dello sconosciuto tradiva un'angoscia inequivocabile.
«Sposatemi, Lorinda, e farete di me l'uomo più felice tra i viventi.»
«Che cos'è questa, la decima o l'undicesima volta che vi respingo, Edward?»
L'uomo con la maschera verde comprese che il dialogo si svolgeva dalla parte opposta dell'alta siepe di bosso di fianco alla quale si era fermato.
Nell'oscurità gli era impossibile vedere attraverso il fitto fogliame, ma immaginò che i due dessero le
spalle alla siepe, ignari della sua presenza a pochi passi di distanza.
«Ve l'ho chiesto in passato e ve lo chiedo di nuovo... sposatemi, Lorinda!»
«Vi ho sempre rifiutato, Edward, e non cambierò idea questa volta. Suvvia, amico mio, state diventando
terribilmente noioso! Adesso vorrei tornare nella sala da ballo.»
«Non andate via, Lorinda. Restate con me, vi prego. Non vi darò fastidio. Farò tutto quello che volete... qualsiasi cosa, purché mi dedichiate un po' di attenzione.»
«Perché dovrei? Se volessi un cane da salotto, me ne comprerei uno» replicò la fanciulla con voce sdegnosa, e subito dopo aggiunse: «Se mi toccate, Edward, giuro che non vi rivolgerò più la parola».
«Lorinda! Lorinda!» gridò il giovane, disperato, e un attimo dopo l'uomo con la maschera verde udì un ticchettio di tacchi femminili che si allontanavano sul vialetto lastricato e il gemito angosciato dell'uomo abbandonato.
Resosi conto che la conversazione era terminata, l'uomo con la maschera verde si avviò verso la sala
da ballo.
Non gli fu difficile riconoscere Lady Lorinda, anche perché nell'istante in cui varcò la portafinestra udì risuonare la sua voce, allegra e del tutto incurante di ciò che era appena avvenuto.
L'audace fanciulla indossava una redingote maschile, su calzoni di raso fermati da un nastro sulle calze di seta che sottolineavano oltraggiosamente le caviglie sottili. I capelli, di un rosso dorato, erano arricciati e acconciati a mo' di parrucca sotto il cappello piumato.
Da sotto la maschera spuntavano il naso piccolo e diritto, le labbra dalla curva perfetta e il mento appuntito sollevato in atteggiamento orgoglioso.
Teneva in mano un bicchiere di vino e, quando l'uomo con la maschera verde entrò nella sala da ballo, lei e la sua cerchia di ammiratori stavano brindando alla salute del loro ospite, un uomo di mezza età coi capelli scuri e l'espressione beffarda.
Il padrone di casa accettò il brindisi senza mai distogliere lo sguardo da Lady Lorinda, e quando tutti ebbero bevuto le si avvicinò. «Venite con me in giardino. Voglio parlarvi» le disse.
Si trovavano a poca distanza dall'uomo con la maschera verde, e le loro parole gli giungevano distintamente.
«Sono appena rientrata dal giardino» obiettò Lady Lorinda corrucciando le morbide labbra. «Se avete intenzione di amoreggiare con me, Ulric, vi avviso che non sono dell'umore adatto.»
«Che cosa vi fa pensare che siano queste le mie intenzioni?»
«Perché gli uomini non parlano d'altro che d'amore» ribatté lei. «Non esiste un argomento di conversazione diverso?»
«No, quando si parla con voi!»
«L'amore mi annoia! È un argomento che non mi interessa, quindi, se volete divertirmi, dovrete parlare di qualcos'altro.»
«Fingete ancora di non avere un cuore, dunque?»
«Non fingo, è la mia fortuna! Venite, andiamo in sala da pranzo. Comincio ad avere fame.»
Si avviarono, e l'uomo con la maschera verde li seguì con lo sguardo.
«Ve l'avevo detto che è bellissima ma imprevedibile» sussurrò, raggiungendolo, il suo accompagnatore.
«Tutti gli uomini cadono ai suoi piedi e fanno ciò che lei dice?» domandò l'uomo con la maschera verde.
«Naturalmente. Tutti obbediscono a Lady Lorinda.»
«E se non lo fanno?»
«Lei li bandisce dalla sua cerchia di amicizie. Tale ostracismo, ho sentito dire, è più infamante di
una scomunica!»
L'uomo con la maschera verde scoppiò a ridere.
«Ho l'impressione che durante gli anni che ho trascorso all'estero, abbiate completamente perduto il senso dei valori... o forse dovrei dire quello dell'umorismo?»
Molto più tardi, quella stessa sera, quando gli ospiti erano notevolmente calati di numero e il primo chiarore dell'alba iniziava a far impallidire le stelle nel cielo, i due amici lasciarono il ricevimento e salirono in carrozza.
Viaggiavano su un altissimo phaeton trainato da cavalli di eccezionale bellezza, con un solo lacchè appollaiato sul predellino posteriore.
«Vi siete divertito?» domandò l'uomo che teneva le redini.
Il suo amico, che si era tolto la maschera, rise.
«È stata senza dubbio una serata memorabile! Mi aspettavo di trovare dei cambiamenti, naturalmente,
ma non fino a questo punto.»
«Vi riferite agli uomini o alle donne?»
«Devo ammettere che il principe mi ha molto stupito. È diventato grasso e i suoi amici non mi hanno fatto una buona impressione.»
«Non piacciono a nessuno, in effetti» ammise l'altro. «Ma ditemi, piuttosto, che cosa pensate delle donne. Siete rimasto sconvolto?»
L'uomo che fino a poco prima aveva indossato la maschera verde rise di nuovo. «Vi assicuro che niente mi sconvolge. Tuttavia, trovo raccapricciante il pensiero che queste creature indecenti e irresponsabili tra qualche anno saranno le madri della prossima generazione.»
«Pensate di fare qualcosa al riguardo?»
«Che cosa suggerite?»
«Ebbene, potreste... raddrizzare Lady Lorinda. Che sfida sarebbe per qualsiasi uomo!»
«Credo che in effetti sarebbe possibile.»
«Suvvia, chi è mai riuscito a domare una tigre? Scommetto qualunque somma – la lascio decidere a voi – che non ci riuscirete.»
L'uomo che aveva portato la maschera verde rimase in silenzio per un poco prima di dire lentamente:
«Mille ghinee!».
«State scherzando?» domandò incredulo il suo compagno. Poi scoppiò a ridere. «Accetto! Non mi perderei l'esito di questa fatica di Ercole per nessuna cifra al mondo!»
«A proposito di tigri... in abiti femminili! Eccola là, proprio davanti a noi» esclamò il proprietario del phaeton dopo poco, indicando una carrozza nera con il blasone dei Camborne che stava risalendo la collina.
Il veicolo non aveva niente di particolare, ma la livrea dei lacchè e del cocchiere non passava certo inosservata: al posto dei colori preferiti dall'aristocrazia, come l'azzurro, il verde o il porpora, i domestici
di Lady Lorinda portavano infatti una livrea bianca con bordi d'argento.
Sotto lo sguardo esterrefatto del gentiluomo con la maschera verde, una volta raggiunta la sommità della collina e oltrepassato lo stretto passaggio tra la Spaniards Inn e il cancello del gabelliere, la carrozza dei Camborne si arrestò bruscamente.
«Che cosa succede?» domandò ad alta voce il conducente del phaeton. «Buon Dio, i briganti! Lady Lorinda è stata assalita!» esclamò subito dopo, frustando i cavalli per correre in aiuto della gentildonna.
All'improvviso si udì un colpo di pistola e l'uomo che aveva aperto la portiera della carrozza cadde all'indietro sul ciglio della strada, mentre il suo complice se la dava a gambe.
Prima che il phaeton potesse raggiungere la carrozza, il lacchè in piedi sul predellino posteriore, che teneva le mani in alto, fu proiettato bruscamente in avanti da uno scossone mentre il veicolo ripartiva e si affrettò a balzare a terra.
I due gentiluomini si fermarono accanto al bandito, riverso per terra con le braccia allargate e la pistola ancora stretta nella mano. Era mascherato e aveva l'aria di essere stato un delinquente della peggior risma. La macchia rossa che si allargava sul suo petto era inequivocabile.
«È morto, milord» annunciò il lacchè che era balzato giù dalla carrozza in corsa.
Il conducente del phaeton sfiorò con la frusta i cavalli. «Quand'è così, non sono affari nostri» replicò,
allontanandosi.
Per un poco i due gentiluomini rimasero in silenzio, poi quello che aveva indossato la maschera verde chiese: «C'era qualcuno con la fanciulla, o è stata lei stessa a sparargli?».
«Oh, suppongo sia stata lei!» replicò il suo amico.
«Non sarebbe la prima volta.» E con una nota divertita nella voce, proseguì: «Avete appena avuto una dimostrazione di come le giovani donne al giorno d'oggi siano in grado di badare a loro stesse.
Avevo sentito parlare del trattamento che Lady Lorinda riserva ai briganti. Adesso ho potuto vederla
in azione». Con una risata, spiegò: «A quanto pare, non appena un bandito apre la portiera, lei gli spara con l'intento di ucciderlo. I suoi domestici non devono nemmeno prendersi la briga di proteggerla».
«Sono sbalordito!» commentò il suo amico. «Ai miei tempi, le donne scoppiavano in singhiozzi e invocavano la protezione degli uomini.»
«Di donne così appiccicose ne esistono ancora, se sono quelle che preferite, e con il patrimonio di cui disponete di certo non vi lasceranno tregua!»
Quel commento rimase senza risposta e il viaggio verso Hampstead Heath proseguì in silenzio.
Lady Lorinda era appoggiata allo schienale imbottito della carrozza, con gli occhi chiusi. Prima di rilassarsi, aveva avuto l'accortezza di ricaricare la pistola che teneva in grembo.
Hampstead Heath era una zona notoriamente infestata dai briganti, razza che lei detestava al pari dei corteggiatori che la infastidivano nonostante lei scoraggiasse brutalmente le loro suppliche lamentose.
Lord Edward Hinton era solo uno dei tanti ammiratori che non accettavano di essere respinti da lei.
Ripensando a come quel gentiluomo l'avesse infastidita per tutta la serata, Lorinda stabilì che in futuro avrebbe messo bene in chiaro che non avrebbe partecipato a nessun ricevimento al quale fosse presente anche lui.
Niente di ciò che lei poteva dirgli gli impediva di implorarla di diventare sua moglie e di diventare, come lo definiva tra sé Lorinda, un maledetto seccatore.
Il loro ospite, Lord Wroxford, non era molto meglio, ma almeno la corteggiava senza poterle proporre le nozze. Era già sposato, infatti, e di conseguenza le sue proposte disdicevoli erano più facili da respingere.
Anche se si prendeva gioco di Ulric ed entrambi sapevano che le probabilità che lei accettasse il suo
corteggiamento erano pari alla possibilità di fare un salto sulla luna, lui non si perdeva d'animo e continuava a insistere, ma almeno, a differenza di Edward, era arguto, spiritoso e persino un po' cinico.
Lord Hinton aveva minacciato talmente tante volte di suicidarsi se lei l'avesse respinto, che ormai Lorinda si sentiva sopraffatta dalla noia ancor prima che lui aprisse bocca. Eppure Edward offriva delle prospettive eccellenti come marito, pensò, e c'era sempre la possibilità che, se suo fratello non fosse riuscito a generare un erede, un giorno sarebbe diventato duca.
«Se fossi assennata, lo sposerei» disse tra sé Lorinda, «ma come potrei sopportare i suoi piagnistei
per il resto dei miei giorni?»
Era quello che pensava di molti altri gentiluomini, parecchi dei quali non le offrivano soltanto immense ricchezze, ma anche una posizione prestigiosa in società.
Lorinda si rendeva perfettamente conto di quanto fosse effimera la sua stella, che brillava su una società pronta a esaltare o condannare una persona a seconda del capriccio del momento.
«Che cosa voglio dalla vita?» si domandò mentre la carrozza scendeva da Hampstead Heath, lasciandosi
alle spalle il pericolo.
Di colpo si vide davanti una teoria infinita di balli e ricevimenti, in compagnia della stessa gente scapestrata che si spostava insieme a lei da Londra a Brighton, a Newmarket per le corse dei cavalli, a
Bath per la cura delle acque, per poi tornare nella capitale per un altro frenetico giro di allegri intrattenimenti.
Davvero non desiderava altro dalla vita?
Sapeva che l'indomani le matrone che tanto la disapprovavano avrebbero spettegolato della sua apparizione al ballo nei panni di Lady Godiva, ma non era riuscita a resistere alla provocazione di Lord Barrymore, un dissoluto gentiluomo che aveva scommesso con lei che non avrebbe avuto il coraggio
di farlo.
Rise, pensando a quando il resoconto del suo comportamento, che non avrebbe perso niente della sua spudoratezza passando di bocca in bocca, sarebbe giunto all'orecchio del re e della regina al Castello di Windsor. I sovrani avrebbero senza dubbio attribuito quell'oltraggiosa esibizione all'esempio nocivo e dissoluto del Principe di Galles.
«Vecchi ipocriti!» esclamò, constatando con sollievo che il viaggio era terminato e la carrozza si stava fermando davanti a Camborne House, in Hanover Square, un edificio enorme, scomodo e decisamente brutto che era stato costruito dal settimo Conte di Camborne, nonno di Lorinda.
Mentre il lacchè con la livrea bianca e argento che lei stessa aveva disegnato apriva la portiera, Lorinda pensò che era comunque meno cupo di quanto fosse stato quando lei era bambina.
«Sua Signoria è in casa, Thomas?» si informò.
«Sì, milady. Sua Signoria è rientrata mezzora fa e adesso è in biblioteca.»
«Grazie, Thomas.»
Lorinda gettò il mantello su una sedia, incurante dell'espressione inorridita del valletto di fronte al suo abbigliamento maschile. Attraversò il vestibolo dal pavimento di marmo e si diresse verso la biblioteca.
Seduto allo scrittoio, al centro della stanza, suo padre stava caricando una pistola.
Il Conte di Camborne e Cardis alzò gli occhi, sorpreso dall'ingresso della figlia.
Era un bell'uomo con i capelli brizzolati e la carnagione smorta di chi passava poco tempo all'aperto.
Nelle sale da gioco, l'aria era notoriamente viziata.
Il conte depose la pistola con un gesto troppo frettoloso per essere spontaneo, esclamando: «Non vi aspettavo di ritorno così presto, Lorinda!».
«Che cos'è accaduto, papà? Non ditemi che dovete battervi a duello.» Suo padre non rispose e Lorinda andò verso la scrivania, abbassando lo sguardo su di lui. «Ditemelo, papà.»
Per un istante il conte parve sul punto di rifiutare, poi si adagiò contro lo schienale della sedia dicendo
in tono di sfida: «Volevo spararmi!».
«State scherzando, vero?»
«Ho perso tutto, Lorinda. Siamo rovinati.»
Per un istante la fanciulla rimase in silenzio. Poi si lasciò cadere su una sedia di fronte a lui. «Raccontatemi esattamente cos'è accaduto.»
«Stavo giocando a carte con Charles Fox» iniziò a dire il conte.
Lorinda strinse le labbra. Sapeva fin troppo bene che Charles Fox era l'avversario più pericoloso che
suo padre avrebbe potuto scegliere. Esponente di spicco dei liberali in Parlamento, oratore avvincente, Charles Fox era dotato di un fascino straordinario nonostante fosse grasso, trasandato, rozzo, con il doppio mento e ispide sopracciglia nere.
Il re lo detestava, e proprio per questo lui era diventato intimo amico del Principe di Galles. Per un periodo, il principe l'aveva addirittura idolatrato.
Erede di un padre favolosamente ricco, Charles Fox aveva sviluppato una passione insaziabile per il gioco d'azzardo a Eton dove, appena sedicenne, aveva perduto insieme al fratello ben trentaduemila sterline in una sola sera!
Che ironia, pensò Lorinda, che in una delle rare occasioni in cui la sorte aveva arriso a Charles Fox, fosse stato proprio suo padre a farne le spese.
Le parole successive di Lord Camborne confermarono i suoi timori. «Stavo vincendo, Lorinda» raccontò il conte con voce stanca. «Vincevo una somma considerevole, poi d'un tratto la fortuna ha girato dalla parte di Fox. Pensavo che non sarebbe durata, e invece quando mi sono alzato dal tavolo non avevo più niente.»
Per qualche minuto nella biblioteca non si sentì altro suono che lo scoppiettare del fuoco nel caminetto,
poi Lorinda chiese con voce abbastanza ferma: «Quanto avete perduto?».
«Centomila sterline!»
Per molti gentiluomini che giocavano da White quella non era una cifra astronomica, ma Lorinda sapeva bene quanto suo padre che per loro significava la rovina.
Possedevano ancora la casa di Londra e la residenza di famiglia in Cornovaglia, ma la rendita che ricavavano da tale proprietà era modesta e se lei e il padre conducevano una vita lussuosa e stravagante,
era solo perché avevano sempre pensato, con una buona dose di ottimismo, che "in qualche modo i soldi sarebbero saltati fuori".
In sostanza, quando il conte aveva una serata felice al tavolo da gioco, Lorinda gli toglieva dalle tasche il denaro vinto prima che lui potesse giocarselo di nuovo.
Prima di allora, tuttavia, suo padre non aveva mai perso una somma così esorbitante.
«Mi resta una cosa sola da fare» annunciò il conte con voce roca. «Spararmi. Fox non potrà aspettarsi
che saldi il mio debito se sarò morto.»
«Sapete bene quanto me, papà» replicò Lorinda, «che essendo un debito d'onore, avrei il dovere
morale di saldarlo io.»
«Sul serio?»
«Naturalmente. E se avete intenzione di lasciarmi da sola a rimettere insieme i cocci della mia vita, sappiate che lo considererei un gran brutto tiro da parte vostra.»
Pronunciate quelle parole in tono sprezzante, si alzò in piedi e andò ad aprire le tende di pesante velluto. Fuori, le prime deboli strisce rosate dell'alba cominciavano ad apparire sopra i tetti.
«Pensavo» disse alle sue spalle il conte con voce incerta, «che se morissi, Fox potrebbe cancellare il
debito. Una soluzione facile, non credete?»
«Facile per voi, ma non per me» osservò Lorinda sottovoce. «E i Camborne non sono mai stati dei vigliacchi.»
«Maledizione, non vorrete darmi del codardo!» ribatté suo padre in tono brusco.
«Non riesco a immaginare niente di più vile che piantarmi qui così» replicò Lorinda.
Suo padre spinse da parte la pistola con impazienza.
«Se la mettete su questo piano, allora potreste cercare voi una soluzione.»
«È ovvio, no?» Lorinda si voltò, tornando verso lo scrittoio.
«Ebbene, non ci vedo niente di così ovvio.»
«Non ci resta altro che vendere questa casa con tutto ciò che contiene. Dovrebbe fruttarci una cifra
considerevole. Dopodiché ci ritireremo in Cornovaglia.»
«In Cornovaglia?»
«Perché no? Finché non avremo venduto anche The Priory... sempre che qualcuno sia disposto a offrirci qualcosa per quel rudere.»
Il conte calò il pugno sullo scrittoio con tanta forza da far rimbalzare il calamaio. «Non venderò quella che è stata la dimora della mia famiglia fin dall'epoca della conquista normanna!» gridò. «Anche se non è vincolata al titolo, nessun Camborne è mai caduto tanto in basso da vendere la casa natale dei suoi predecessori.»
Lorinda si strinse nelle spalle. «Può darsi che sarete costretto a farlo, papà. Dubito che questa casa, con tutto ciò che contiene, compresi i gioielli della mamma, possa fruttare più di cinquantamila sterline.»
Il conte si nascose il viso tra le mani. «Oh... Dio!» proruppe. «Come ho fatto a essere tanto idiota?»
«Le recriminazioni non ci porteranno da nessuna parte» replicò freddamente Lorinda. «Dobbiamo essere concreti, papà. Vale a dire che sarò io a occuparmi di tutto. Voi chiederete a Charles Fox una dilazione del pagamento. Non sarete certo in grado di versargli centomila sterline entro il termine consueto di due settimane.»
«Dovrò mettermi in ginocchio davanti a lui, oltre a tutte le altre umiliazioni che ho dovuto subire?» chiese il conte, contrariato.
«Si tratta del vostro debito» gli ricordò Lorinda.
Suo padre la guardò e l'espressione che lesse negli occhi verdi di Lorinda lo spinse a esclamare con furia: «Dio onnipotente! Potreste anche mostrarvi un po' più comprensiva! Non avete un briciolo di pietà per nessuno».
«Se proprio volete sapere la verità» rispose Lorinda, «vi disprezzo.» Fece una pausa e, vedendo che il padre non replicava, proseguì: «Vi disprezzo al pari di tutti gli altri uomini. Siete tutti uguali, tutti deboli quando si tratta del vostro piacere. Vi aspettate che le donne vi consolino quando vi comportate da stupidi e che piangano per i vostri misfatti. Ebbene, lasciatemi mettere bene in chiaro che io non intendo fare nessuna delle due cose».
Raccolse la pistola dallo scrittoio e aggiunse con sarcasmo: «Questa la porto con me; non mi fido di voi. Domani mi occuperò della vendita della nostra casa e cercherò di capire se posso ottenere un prezzo accettabile per i tesori raccolti dai nostri antenati e per i gioielli che davano tanto piacere a mia madre». Fece per uscire, poi si girò a guardare il padre, con la luce delle candele che faceva scintillare i suoi capelli rossi. «Se questa prospettiva vi è insopportabile» concluse con insolenza, «vi suggerisco di partire immediatamente per la Cornovaglia e di cominciare a mettere una parvenza di ordine nel rudere che ci è rimasto.»
La mattina seguente Lorinda si svegliò dopo un sonno profondo e mentre la cameriera apriva le tende le tornò alla mente il compito che l'aspettava.
Non si sentiva in preda al panico, come sarebbe successo a qualsiasi altra giovane donna, per le gravi difficoltà che avrebbe dovuto affrontare né per l'inadeguatezza del padre davanti a un qualsiasi problema.
Sua madre era morta quando lei aveva dodici anni. La ricordava con affetto, ma aveva sempre intuito di avere ben poco in comune con quella persona dolce e arrendevole che aveva posto il marito su un piedistallo ed era stata pronta ad accettare il suo precario stile di vita senza fare nulla per modificarlo.
Lorinda doveva aver ereditato, seppure a distanza di tempo, le qualità dei suoi antenati Camborne che, in Cornovaglia, si erano battuti eroicamente contro innumerevoli nemici.
La Cornovaglia era stata l'ultima regione della Britannia meridionale a sottomettersi agli invasori sassoni, e i Camborne avevano combattuto contro Re Egbert rifiutandosi di riconoscere la sua supremazia.
Novant'anni dopo avevano aiutato Aethelred a cacciare i gallesi da Exeter, stabilendo il confine del loro territorio sul fiume Tamar.
Nel corso dei secoli, i Camborne erano sempre stati fieri della loro indipendenza: avevano difeso la causa dei Lancaster e si erano distinti per il loro valore nell'esercito comandato da Sir Bevil Grenville, quando aveva sconfitto i partigiani del Parlamento a Bradock.
Nelle vene di Lorinda scorreva un fuoco che in suo padre sembrava del tutto estinto.
Non si sottometteva ad alcuno e, fin dalla più tenera età, si era ribellata a ogni forma di autorità.
«Lottate come una leonessa pur di non fare ciò che vi viene detto, come i guerrieri della Cornovaglia che combatterono ad Agincourt» era solita dirle la balia quando era bambina.
E lottava ancora, in quel momento di avversità, non volendo accettare l'inevitabile come invece suo padre sembrava propenso a fare.
Lorinda rimase in silenzio mentre la cameriera l'aiutava a vestirsi e le acconciava i capelli nella foggia volutamente disordinata che sembrava creata per mettere in risalto il suo viso minuto, a forma di cuore.
Lorinda non era bassa, anzi era più alta della media, eppure era così snella e aggraziata che gli uomini provavano istintivamente il desiderio di proteggerla, per poi accorgersi che la sua volontà di ferro e il suo orgoglio indomabile erano in netto contrasto con l'aspetto squisitamente femminile.
Non si poteva negare che fosse bella, tuttavia, guardandosi allo specchio, Lorinda si chiese se la sua bellezza le avesse mai portato gioia.
Era consapevole che, se avesse chiesto consiglio a una qualsiasi delle dame dell'alta società che tanto
spesso l'avevano accompagnata ai ricevimenti su richiesta di suo padre, da quando Lorinda aveva fatto il suo debutto, la risposta sarebbe stata invariabilmente la stessa: sposate un uomo ricco.
Le sembrava quasi di sentire le loro voci pronunciare quelle parole, sapendo che per lei sarebbe stato fin troppo facile accettare Edward Hinton, Anthony Dawlish, Christopher Conway o un altro qualunque dei giovani aristocratici che avevano deposto il loro cuore ai suoi piedi.
Senza dubbio, pensò mentre finiva di abbigliarsi, le sarebbe bastato scrivere un biglietto per farli accorrere.
Ma l'orgoglio, anche quello retaggio dei suoi antenati, la faceva inorridire alla prospettiva di sposare un uomo solo perché le faceva comodo.
Scese le scale a testa alta, con in mente un vortice di idee e progetti, quasi fosse stata un comandante
che andava in battaglia e non una donna che avrebbe dovuto ignorare simili strategie.
In biblioteca, scoprì che suo padre non era neppure andato a letto e dormiva nella poltrona dallo schienale alto presso il fuoco. Una caraffa vuota di fianco a lui la diceva lunga su come aveva trascorso la notte.
Lorinda gli mise una mano sulla spalla, scuotendolo bruscamente. «Svegliatevi, papà!»
Parlando con lui, poche ore prima, si era accorta che aveva bevuto parecchio, ma quello che aveva consumato dopo che lei era andata a dormire l'aveva lasciato con gli occhi iniettati di sangue e un inequivocabile olezzo di liquore addosso.
«Svegliatevi, papà!» ripeté, e finalmente il conte aprì gli occhi.
«Oh, siete voi, Lorinda! Che cosa volete?»
«Che vi laviate e vi vestiate» rispose lei. «È mattina e, se volete, la colazione è pronta.»
Il conte rabbrividì. «Datemi da bere.»
Senza discutere, Lorinda gli versò del brandy dal vassoio pronto in un angolo della biblioteca e glielo portò con aria sdegnosa.
Il conte lo prese, trangugiandolo d'un fiato.
«Che ore sono?»
«Le nove. Ebbene, andrete in Cornovaglia o rimarrete qui con me? Vi avviso che dovrete comunque rinunciare alle comodità, perché intendo licenziare la servitù non appena avremo fatto colazione.»
Rinfrancato dal liquore, il conte si alzò in piedi.
Il sole entrava a fiotti dalle finestre, una delle quali si apriva sul piccolo giardino dietro la casa.
Le aiuole erano un tripudio di fiori e Lorinda si scoprì a pensare a quanto era costato acquistarli e farli mettere a dimora dal giardiniere che veniva quattro volte alla settimana.
«C'è... c'è qualcosa che non vi ho detto, stanotte» annunciò il conte dopo qualche istante.
«Che cosa?»
«Mi avete impedito di fare la cosa più onorevole, come avevo deciso» proseguì suo padre.  «Quindi tanto vale che sappiate la verità.»
«La verità?» chiese Lorinda in tono aspro.
«Verso la fine della partita, mi hanno visto barare.»
«Barare?»
Quello di Lorinda era un grido più che un'esclamazione.
«Avevo bevuto molto ed ero disperato... non sono stato nemmeno troppo abile.»
«In quanti vi hanno visto?»
«Fox e altri tre membri di White che erano al tavolo. Sono tutti miei amici e credo che terranno la bocca chiusa, ma per qualche mese è meglio che non mi faccia vedere.»
Quello era un colpo che Lorinda non si aspettava. Sapeva bene che un uomo scoperto a barare veniva escluso dai suoi pari e diventava un reietto.
Esisteva la possibilità, molto remota, che essendo suo padre molto popolare, coloro che l'avevano visto barare l'avrebbero giudicato un incidente dovuto al troppo bere e non l'avrebbero reso pubblico.
Ma il conte aveva ragione dicendo che non avrebbe potuto rimettere piede da White per parecchio tempo.
Per un istante si pentì quasi di non avergli permesso di togliersi la vita, visto che quella era la strada più onorevole che un uomo sorpreso a barare potesse prendere. Poi però si disse che sarebbe stata una soluzione forse ancor più vile.
«Non vi resta altro da fare, papà» dichiarò con voce sicura, quasi normale, «che partire immediatamente
per la Cornovaglia. Prendete con voi un valletto, quello che preferite, e due cavalli dei migliori. Il resto sarà messo in vendita.» Poi, in tono più impersonale, concluse: «Vi porterò io il resto dei vostri effetti personali con la carrozza da viaggio».
«E il mio phaeton?»
«È il più nuovo dei veicoli che possediamo, e ci frutterà una discreta sommetta. Mi dispiace, ma dovrà restare qui. Adesso vado a fare colazione, poi parlerò con il personale. Se avete bisogno di me, mi troverete in salotto.»
Andò alla porta e quando fu sulla soglia sentì suo padre sussurrare: «Mi dispiace, Lorinda».

 

Share this
CAPTCHA
Questa domanda serve a verificare che il form non venga inviato da procedure automatizzate
Image CAPTCHA
Inserisci i caratteri che vedi qui sopra

Commenti

appena comprati ;)))) non

appena comprati ;)))) non vedo l'ora di leggerli... ne ho parlato in un post specifico dedicato alla Cartland (non poteva mancare una "categoria" CARTLAND nel mio blog neo-nato ;))

ciao a tutti/e :-)

Per "La musica del cuore" è

Per "La musica del cuore" è stata usata un'immagine che nel 1983 era la copertina de "Il Giglio e la Rosa" (The Power and the Prince), sempre della Cartlans. Un'immagine molto bella, ma chi la ricorda pensa di aver già letto il libro...

Grazie a tutte per le info utilissime.

I romanzi di BC sono usciti

I romanzi di BC sono usciti in edicola proprio oggi, un giorno prima rispetto alla data annunciata. ^^

@ Drakon : per il momento la Harlequin proporrà solo inediti, ma se la Cartland tornerà ad avere successo, magari... ^_*

Ciao ragazze! Sarebbe troppo

Ciao ragazze!

Sarebbe troppo sperare di rivedere "Passione Sotto la Cenere" fra i romanzi proposti da "Harmony Grandi Saghe"? Il film era bellissimo!

Drakon

Io non ho mai letto nulla di

Io non ho mai letto nulla di suo e infatti credo che li comprerò entrambi, sono davvero curiosa.

Vi saprò dire...

@ FairyRain dovrebbero

@ FairyRain

dovrebbero uscire questa settimana... chi li vede per primi, faccia sapere!

Non ho mai letto niente di

Non ho mai letto niente di questa scrittrice ma sono curiosa dopo aver letto i vostri commenti vi dirò dopo letti cosa ne penso

Buona notte

Anche io le sono affezionata,

Anche io le sono affezionata, i suoi sono stati tra i primi romance che letto! Si sa quali giorni di maggio dovrebbero uscire?

Ho letto alcuni romanzi e

Ho letto alcuni romanzi e devo dire che non era male. ^_^

mi hai fatto voglia di andare

mi hai fatto voglia di andare a caccia dei suoi vecchi romanzi Sonia! :-)

Anche a me piace molto la Cartland, mi riporta indietro nel tempo, a quando ero ragazzina e sognavo leggendo le sue storie romantiche.

Ops, ho dimenticato di

Ops, ho dimenticato di firmarmi... il commento qui sopra è mio, ovvero di Sonia aka Ainos. ^_^

E' stato un piacere,

E' stato un piacere, credetemi! ^^

Ormai mi sento un pò la "paladina" della Cartland in Italia e spero proprio che le nuove lettrici non ne rimangano deluse: la Cartland (soprattutto in "Matrimonio per scommessa") è meno mielosa di quanto non si creda abitualmente. ^_*

Calendario

Amazon

 

 

Giveaway

Partecipate al giveaway di Mariangela Camocardi, avete tempo per lasciare un commento fino al 9 novembre, quindi registratevi al sito se ancora non lo avete fatto e buona fortuna!

 

Eventi

        

Un'iniziativa di Kijiji

Commenti recenti

Fanfiction

Dream heroes

Alcuni eroi da sogno...