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RECENSIONE TRUE BLOOD LA SERIE


In un futuro non ben precisato, i vampiri e gli umani possono convivere pacificamente, grazie ad un'invenzione rivoluzionaria di una ditta farmaceutica giapponese, che  produce uno speciale tipo di sangue sintetico, il True Blood, in grado di soddisfare i bisogni fisiologici dei vampiri. Ormai sono due anni che vampiri e umani vivono gli uni accanto agli altri, pur se con difficoltà e contrasti. A Bon Temps, una piccola e tranquilla cittadina della Louisiana abitano Sookie Stackhouse (Anna Paquin), una cameriera che ha il dono di leggere i pensieri della gente, la nonna Adele (Lois Smith), il fratello Jason (Ryan Kwanten) e la migliore amica di Sookie, Tara (Rutina Wesley)  con la madre alcolizzata ed il cugino gay Lafayette Reynolds (Nelsan Ellis), spacciatore e prostituto part time. Una notte, al Merlott’s, il locale di proprietà di Sam Merlotte (Sam Trammell) in cui Sookie lavora, questa incontra Bill Compton (Stephen Moyer), un vampiro di centosettantatre anni originario di Bon Temps, tornato a casa dopo parecchi anni. Tra i due nasce immediatamente un legame amoroso che li porta a dover lottare contro i pregiudizi degli amici e dei cittadini di Bon Temps.

 

 

Con queste premesse, ovvero una storia intrigante tratta dalla saga di Charlaine Harris, i numerosi premi vinti e le ottime critiche ricevute in patria, mi sono accinta alla visione di questa serie con la migliore disposizione d'animo. E male me ne ha incolto! Se cercate un amore romantico, qui ne troverete solo un’ombra. Se vi aspettate una bella storia di vampiri, lasciate perdere. Se ritenete che la trama debba avere un minimo di coerenza, girate al largo. Se invece desiderate una sequela strabordante di scene violente e splatter, di continue ed assolutamente gratuite scene di nudo (etero e gay), e di copule in varie, spesso assurde posizioni, avete trovato il serial che fa per voi. Il creatore e produttore della serie Alan Ball, già padre della serie Six Feet Under, nonché premio Oscar per American Beauty, mira in alto, ad un livello metaforico addirittura. Attraverso i libri della Harris, vorrebbe presentarci uno spaccato della provincia americana contemporanea: un luogo desolato, privo di cultura, gretto, pettegolo, arrivista e volgare, dove a parte il denaro, non ci sono altri valori, tantomeno solidarietà sociale. Dove i diversi continuano ad essere discriminati, sia che abbiano la pelle nera, siano telepatici, o che siano cattolici, o che abbiano dei lunghi canini ed il pregiudizio regna sovrano ovunque. Peccato che questa scoperta analogia tra i diversi di ieri (neri, cattolici, ebrei, gay) e quelli di oggi (vampiri, telepati, mutaforma etc.) non vada oltre qualche battuta, e si perda nella palude di una trama mal congegnata, piena di inutili diversioni e di un affastellamento di stimoli violenti e sessuali, che non hanno altro scopo che  scandalizzare e far parlare di sé. Direi anche che servono a coprire una mancanza di sostanza piuttosto evidente, poiché i personaggi sono i primi a  soffrire di questo pressapochismo e sembrano quasi tutti, con poche eccezioni, degli schizofrenici. La protagonista Sookie, una Anna Paquin ipersmorfiosa, ne è un perfetto esempio: un attimo adora il suo Bill, quello dopo l’abbandona o se la fa con Sam, da sempre innamorato di lei; per non parlare del fratello Jason,  costamtemente allupato, la cui unica occupazione è far sesso con chiunque, ubriacarsi e drogarsi, possibilmente in contemporanea, o della nera Tara, arrabbiata perenne, che va cianciando dei danni dello schiavismo e aggredisce il mondo,  per poi lamentarsi di essere sola. Il problema, nonostante le velleità intellettuali di questo serial e di Ball, è che se intendevano ammaliarci con una storia appassionante sui vampiri, (triviali, depravati e disgustosi come il resto della popolazione umana) la quantità industriale di stupefacenti, pettorali, peni e sederi, non serve allo scopo, idem se si cercava di proporre un telefilm dai forti contenuti sociali. I problemi della gente sono ben altri, in America come in Europa, e qui non vengono nemmeno lontanamente scalfiti.

Non abbiamo la favola, non abbiamo il sogno, non abbiamo nemmeno la riflessione, a mio avviso una debacle totale. In questo squallore e vuoto generale, si salva solo il bello e bravo Sthephen Moyer, seducente e convincente vampiro, che da buon inglese, porta un po’ di fascino e classe nel dipingere Bill, donando un minimo di soddisfazione a noi amanti dei succhiasangue. Tuttavia, amiche mie, c’è una sola vera ragione per sorbirsi la prima ed anche la seconda serie di True Blood: si chiama Alexander Skarsgård, l’interprete dello sceriffo vampiro Eric Northman, un metro e novantatré di vichinga bellezza. Ammirate, ragazze, ammirate, ma shhhhhhhhh, non ditelo ai vostri uomini …


 

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