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ROMANCE PARK

Benvenute a Romance Park, il luogo dove ogni scrittrice ha la possibilità di presentare i propri lavori al pubblico!


L'estratto di questa settimana si intitola "L'ULTIMO CREPUSCOLO", e il nick della sua autrice è EUDORA GRAY. ATTENZIONE, si tratta di nomi di fantasia, che usiamo solo per distinguere i vari estratti tra di loro: il nome dell'autrice non è questo, ed il titolo finale del libro sarà diverso.

Vi ricordiamo le REGOLE DI ROMANCE PARK ( potrete trovare maggiori dettagli qui: http://romancebooks.splinder.com/post/20213710 ) :
-- sia le lettrici che le bloggers potranno votare l'estratto con un punteggio da 1 a 10, e naturalmente commentarlo;
-- se la scrittrice lo desidera (non è obbligatorio), può rispondere ai commenti e alle domande – ma lo farà sempre usando il nick;
-- tra una settimana esatta, chiuderemo il sondaggio, e la scrittrice scoprirà che voto le è stato dato dal pubblico.
-- IMPORTANTE: la scrittrice non rivelerà la propria identità a nessuno, né prima, né durante, né dopo il sondaggio. Le bloggers che hanno collaborato con lei alla preparazione del post (cioè Naan e MarchRose) faranno altrettanto, sia nei confronti delle altre bloggers che delle lettrici, e per correttezza si asterranno dal commentare.

 

L'ULTIMO CREPUSCOLO
di Eudora Gray
Tutti i diritti letterari di quest’opera sono di esclusiva proprietà dell’autore.

 

Nell'estremo nord dell'Alaska la città di Barrow si prepara ad affrontare l’ennesimo inverno. Per quattro mesi sarà notte perenne e il cielo sarà illuminato soltanto dalla luce crepuscolare, dalla Luna e dalle frequenti aurore boreali.
I preparativi per la festa in onore dell’ultimo giorno di sole fervono fin dalle prime ore del mattino. Come di consueto il programma della serata prevederà la classica cena all’interno del circolo ricreativo seguita da danze e giochi ed essendo una delle poche occasioni di ritrovo i cittadini ne sono molto entusiasti.
Tutti tranne una: Prudence Wood.
L’ultima cosa di cui ha voglia Prudence è uscire di casa, malgrado ciò sembra non avere scelta. Norah ha organizzato ogni cosa e Prudence sa che deluderla significherebbe perdere definitivamente la sua amicizia.
Così, se pur controvoglia, si prepara e raggiunge l’amica riscoprendo, nel corso della serata, la piacevole sensazione della compagnia e del divertimento.
Per Prudence è una vera sorpresa tanto che le sembra impossibile aver dimenticato, anche se solo per poche ore, l’ossessione nei confronti del suo datore di lavoro.
Ma verso la mezzanotte il Dottor Lucas Champbell, colui che da mesi popola i suoi pensieri e monopolizza involontariamente la sua vita, fa il suo ingresso al circolo e
la serata si trasforma in un romantico incontro.
Tutto sembra perfetto ma Prudence non ha la minima idea di quello che le sta per accadere. Non può nemmeno immaginare che dietro l’immacolato Lucas Champbell si nasconde il peggiore degli incubi.

 


Barrow, Alaska
17 Novembre, 2000




L’orologio segna le 16:45.
Spengo il computer e la radio, ho bisogno di silenzio.
Il mio sguardo si sposta inevitabilmente alla mia destra.
Sulla targa in acciaio, fissata accanto alla porta dello studio, si riflette la luce artificiale della lampada al neon mettendo in evidenza l’elegante incisione che compone il nome del Dottor Lucas Champbell.
E’ appesa lì da solo quattro mesi eppure è come se quel posto fosse sempre stato suo. Un po’ come l’ultimo pezzo di un puzzle sul quale non si ha alcun dubbio sulla sua posizione.
Mi rattrista ammetterlo, ma non ho la minima nostalgia del defunto Dottor Derrik. Non che non fosse una brava persona anzi, era amato e stimato da tutti i suoi pazienti, ma nonostante ciò stento addirittura a ricordarlo. Ho persino dimenticato i tratti del suoi viso e ciò è alquanto sconcertante visto che abbiamo lavorato insieme per ben quattro anni.
Colui che invece ho ben presente è il Dottor Champbell, e non solo perché la sua porta dista meno di due metri dalla mia scrivania. Da quando ha fatto la sua apparizione a Barrow il mio passato sembra essersi dissolto nel nulla.
La mia mente ha un unico pensiero, i miei occhi un'unica direzione e il mio cuore un solo battito che sembra essere l’ultimo ogni volta che non gli sono accanto.
Sono assolutamente consapevole che il Dottor Champbell non nutre il minimo interesse nei miei confronti e nella mia testa, dove è ancora vivo un barlume di giudizio, so che non avrò mai speranze. Certo, non posso negare che sia gentile, premuroso, comprensivo ma questo lo annovera solamente nella categoria del “perfetto datore di lavoro”!
E’ inutile, ormai non riesco a pensare ad altro, non ho alternative! O forse le ho ma il mio cuore finge di non vederle.
Ed è per questo motivo che sono qui, con le unghie conficcate nel legno della scrivania in attesa di udire un piccolo, impercettibile rumore provenire dallo studio.
Ma niente, intorno a me c’è solo silenzio. Un eloquente e tormentoso silenzio.
Mi dirigo verso le finestre, devo assolutamente distrarmi.
Nonostante la nebbia riesco ad intravedere le luci del Barrow Arctic Science Consortium. Il contrasto col buio delle piccole finestre illuminate è talmente vivace da far sembrare il paesaggio davanti ai miei occhi una dolce cartolina natalizia.
Sospiro, non provo nulla.
Per un’intera vita non ho fatto altro che sognare quel posto di lavoro. Ho studiato tanto passando le selezioni di ammissione a pieni punteggi ma, quando due giorni fa è arrivata l’attesa lettera di convocazione, non ho fatto altro che chiuderla in un cassetto. Ho una settimana per presentarmi al colloquio. Mi basterebbe una semplice telefonata per prendere un appuntamento e il gioco è fatto ma ormai non mi interessa più andarci. Il mio posto è qui.
Mi rivolto nuovamente verso la porta dello studio. Ancora silenzio.
Sono ormai venti minuti che la signorina Sanders è dentro ed è inutile negarlo, non è sicuramente qui per una banale visita specialistica.
Da tre mesi a questa parte si presenta in ambulatorio ogni venerdì alla stessa ora, quando ormai non ci sono più pazienti e non ha di certo l’aria di una persona malata. Arriva col suo lungo cappotto color porpora, dalla quale s’intravedono un paio di stivali scuri dal tacco vertiginoso e, in tutta la sua bellezza, si dirige direttamente nello studio.
Si trattiene per mezz’ora, a volte poco di più e quando esce ha la tipica espressione soddisfatta di chi ha ottenuto ciò che voleva.
Mentre spingo l’interruttore per chiudere le serrande automatiche la porta dell’ambulatorio si apre.
La signorina Sanders esce sorridendo, richiude la porta dietro di sé e con passo felino attraversa la stanza fino a raggiungere l’uscita. Si ferma un solo istante, giusto il tempo di sistemarsi il cappotto, poi se ne va senza dire una sola parola, nemmeno un saluto di cortesia.
Il crampo al pollice mi fa notare che le serrande sono ormai chiuse, non ho più motivo di inveire su quel povero interruttore così torno alla scrivania, prendo la borsa e la mia vecchia giacca a vento e mi dirigo davanti allo specchio.
Mentre mi sistemo la sciarpa non posso fare a meno di osservarmi.
Generalmente le persone mi ritengono piuttosto bella tuttavia io mi sono sempre considerata poco interessante. Ho dei banalissimi capelli castani, troppo lunghi per stare al loro posto. Gli occhi sono dello stesso colore e la carnagione è chiarissima, come quella di mia madre.
Se avessi solo un quarto della bellezza della signorina Sanders in questo momento sarei io ad uscire con l’espressione soddisfatta o probabilmente non starei affatto uscendo.
Invece sono pronta per rientrare a casa, più nervosa e triste che mai.
Un po’ci sono abituata lo ammetto, perchè mi sento sempre così al venerdì sera. E non solo perché odio quella donna ma perché mi attendono esattamente due giorni distanti dal Dottor Champbell.
Non so nulla della sua vita privata, se non che vive a Atqasuk, a ben 60 milia da qui.
Irraggiungibile dunque, sotto tutti i punti di vista soprattutto ora che sta per iniziare la notte artica.
Continuo a fissarmi nello specchio cercando così di prolungare il più possibile la mia presenza in ambulatorio.
Questa sera mi sento più agitata del solito, ho come la sensazione che stia per accadere qualcosa di terribile, ma non mi so spiegare cosa.
A interrompere i miei lugubri pensieri è l’acuta suoneria del mio cellulare. Frugo spasmodicamente nella borsa e non faccio in tempo a sollevare la cornetta che già sento le lamentele di Norah.
<Si può sapere cosa ci fai ancora lì? Non mi dirai che a quest’ora ci sono ancora dei pazienti? Guarda che pensi di saltare la cena non te lo perdonerò e sappi che non ti rivolgerò la parola per i prossimi venticinque anni!>
In preda ad un forte senso di colpa soffoco un grido, mi ero completamente dimenticata della cena ma almeno ora ho capito il motivo della mia agitazione.
Norah fa parte del comitato organizzativo e come tale sono giorni che si occupa della preparazione del circolo. Non ricordo il programma della serata per cui non ho modo di deviare la conversazione tuttavia mi sono ripromessa che questa volta non sarei mancata.
<Non ti preoccupare ho già indossato la giacca. Il tempo di chiudere l’ambulatorio e arrivo.>
<Tesoro ti ricordo che l’ultima volta che mi hai risposto così sei arrivata dopo due ore! Ti concedo dieci minuti!>
Norah riattacca la cornetta, attendere una mia inutile controbattuta sarebbe solo un ulteriore perdita di tempo.
<Prudence.>
Il nome, che a volte dimentico di avere, mi avvolge come un dolce e sensuale abbraccio.
Mi volto consapevole della presenza del Dottor Champbell sulla porta.
Capelli scuri rigorosamente legati alla nuca, naso dritto, labbra sottili e due occhi azzurri come il cielo, di quelli che si vedono solo sulle riviste.
Immacolato, nel suo camice bianco, mi sorride e si dirige verso di me.
<Mi servirebbe la cartella clinica del Signor Nigel Moore per cui scusami ma devo riaccendere il tuo computer.>
Con il cuore che batte vorticosamente mi allungo verso il pulsante d’accensione ma la sua mano anticipa la mia.
<Non preoccuparti, non c’è alcun bisogno che ti trattieni, posso fare da solo.>
Sorrido. Dovrei sentirmi sollevata dalla sua comprensione invece mi sento come se mi avesse pugnalato alla schiena. La mia preoccupazione non è restare ma andarmene.
<Oh ma non è un problema, posso tranquillamente fermarmi.> rispondo decisa allungandomi nuovamente verso il computer.
Il Dottor Champbell ritira la mano e io mi sento immancabilmente offesa. Non mi ha mai toccata, nemmeno per caso.
Ingoio l’amarezza e sfoderando un gentile sorriso mi metto alla ricerca della cartella richiesta. Purtroppo il sistema gestionale è talmente perfetto e veloce che non mi da nemmeno il tempo di digitare l’ultima lettera che già mi offre tutti i Moore presenti.
<Eccola qui, vuole che gliela stampo?>
<Non è necessario grazie, ho soltanto bisogno di verificare alcuni dati. E credimi non è nemmeno necessario che ti soffermi. Ho alcune cose da sbrigare per cui mi fermerò ancora un po’. Chiudo io stasera.>
Rassegnata mi sposto per concedergli di sedersi sulla sedia e mentre lo osservo sistemarsi comodamente non posso fare a meno di pensare alla signorina Sanders. Se ci fosse stata lei al mio posto dubito che l’avrebbe liquidata così velocemente.
<D’accordo come desidera.>
Ora dovrei augurargli un buon fine settimana, prendere la borsa e uscire dall’ambulatorio ma è più forte di me, non riesco a muovermi. I miei piedi sembrano inchiodato al pavimento.
Sento di nuovo quel senso di agitazione. Senza rendermene conto mi porto una mano alla gola e allento la sciarpa, ho l’impressione di soffocare.
<Prudence ti senti bene?>
La voce del Dottor Champbell mi riporta alla realtà e il respiro torna regolare.
<Sì… sì sto bene, grazie. Deve essere colpa del riscaldamento, ho dimenticato di abbassarlo. Rimedio subito.>
<Prudence aspetta.>
Il Dottor Champbell si alza dalla sedia e si avvicina a me, ovviamente mantenendo sempre un’insensata distanza.
<Credo che tu sia stanca e tra l’altro questa sera, c’è la cena al circolo ricreativo per cui non intendo trattenerti oltre. Voglio che te ne vai a casa, che ti riposi e che ti preoccupi solo della cena.>
Le ultime parole sono accompagnate da un gentile sorriso d’incoraggiamento e questo mi fa sentire ancora più immotivata nei confronti dell’imminente serata.
<Verrà anche lei?>
Quella domanda mi esce di bocca senza preavviso. Non ho la più pallida idea di quando il mio cervello l’ha formulata ma non posso tornare indietro per cui aggiungo: <E’ l’unica occasione mondana che offre Barrow, sarebbe un peccato perderla.>
La sua espressione mi fa sentire ridicola. Il suo sguardo compassionevole è più eloquente di ogni parola tuttavia, spinto probabilmente dall’educazione, mi risponde.
<Verrei molto volentieri credimi ma non posso, ho già preso un altro impegno.>
Il suo volto cambia espressione, sembra quasi sincero malgrado ciò, non mi resta altro che andarmene.
Così ci salutiamo cordialmente e stringendomi nella sciarpa esco dall’ambulatorio.


RATING FINALE :  7,29 /10

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